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Alberto nei Giacometti

Tra le righe de ‘Il tempo passa troppo presto’, le lettere alla famiglia dell’artista giovanissimo, poi sempre più maturo, fino alla celebrità

Kunsthaus Zurich, 1962
18 settembre 2024
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Si trascorrono momenti intensi in compagnia di Alberto Giacometti, attraverso le lettere inviate alla famiglia e selezionate in ‘Il tempo passa troppo presto’, pubblicato da Casagrande. Esse riflettono il corso della vita del giovanissimo e poi sempre più maturo artista attraverso i luoghi della formazione in Svizzera e l’esperienza italiana a Venezia, poi a Firenze e a Roma; si passa quindi a una intera vita trascorsa a Parigi. Non mancano parentesi lunghe (ancora a Ginevra, durante la Seconda Guerra mondiale) e brevi, per esempio a Londra in occasione di celebrazioni ed esposizioni quando ormai egli è una celebrità.

Dopo un periodo trascorso da diligente allievo del collegio di Schiers la relazione tra Alberto Giacometti e gli istituti di formazione non ha una struttura forte. Nella École des Beaux-Arts di Ginevra egli resiste pochissimo tempo (“Ha seguito cinque o sei volte”, scrive il suo docente James Vibert al padre Giovanni); a Firenze dove si reca per frequentare la Accademia arriva a iscrizioni chiuse; a Roma segue la Scuola libera di Nudo di via Ripetta e a Parigi è allievo di Antoine Bourdelle alla Académie de la Grande Chaumière. Ma la sua formazione è soprattutto il frutto della appartenenza a una potente famiglia di artisti; egli la prosegue in modo autonomo e le lettere alla famiglia ci offrono scampoli di forte intensità, sia nel periodo giovanile che nella fase matura, quando passa attraverso il confronto con gli altri artisti.

Tempo e ripetizione

A 19 anni, l’otto dicembre 1920, scrive ai genitori da Firenze: “Poi ero di nuovo nei musei dove andai già molte volte, e ogni volta si fa attenzione a cose che prima si passava senza badare, così ieri vidi un quadro di Murillo che è una bellezza, al primo sguardo sembra un po’ quelle madonne ordinarie che si vedon dappertutto invece è molto fino e sensibile e simpatico. Ieri fui anche a teatro con Frizzoni abbiamo visto Otello, è una delle più belle cose che vidi sino adesso. È terribile e nel medesimo tempo si ha un’immensa compassione del povero moro!”. Alberto impara l’importanza e il ruolo, nell’apprendimento e nella comprensione, del tempo e della ripetizione, del ritorno sugli argomenti. Traducendosi nella fase creativa, ciò diventerà una componente dolorosa e feconda del suo lavoro.

A Parigi, in occasione delle esposizioni alle quali egli partecipa, si confronta con gli altri artisti e analizza il lavoro che lo circonda: “Tutto il salon fa buona impressione, ma poche cose veramente buone, una buonissima media. In scultura Bourdelle ha un grande lavoro che non mi piace, Brancusi ha successo ma ha molti difetti malgrado qualità e un mio amico greco dell’accademia con una buonissima figura che tutti trovano cattiva quasi ma che è forse la più forte, del resto niente di buono. Zadkine è molto cattivo principalmente la sua ultima scultura che è nelle mie vicinanze. Mi dispiace molto e mi fa pena. Se lo incontro non so cosa dire. Bänninger si è messo se stesso in mezzo a una sala, non è male ma mi interessa pochissimo. Il greco è l’unico che mi interessa, ma devo rivedere per farmi un’opinione chiara” (Lettera dell’8 maggio 1928 a p. 119). Ci sono poi considerazioni generali sul senso della vita e sul motivo per il quale l’arte è importante nella vita dell’uomo. Da Roma, dicembre 1920, riflette sulla caducità: “È lì un Colosseo enorme e potente eppure tutto, anche queste cose passano e vanno in rovina, sembra impossibile!” (p. 60). Anni dopo, in occasione della morte del cugino Cornelio, condivide a distanza alcune considerazioni con la madre Annetta: “Vorrei tanto essere lì con te a tenerti compagnia, non possiamo esserlo che col pensiero e dobbiamo essere qua a lavorare ma la vita non vale che così e persino la morte non ha valore che così vivendo facendo il meglio possibile ciò che bisogna fare e ciò noi dobbiamo farlo qua; ma tutto ciò carissima mamma lo sai così bene che noi! Si vive in un mistero che bisogna accettare e la morte non è il contrario della vita ma fa parte della vita stessa e la presenza dei nostri cari continua dopo la morte nella nostra coscienza e nella nostra memoria e ciò è tutta la nostra vita dove il presente non è che il risultato e la memoria del passato che cessano d’essere distinti uno dall’altro. È ciò che dà tanto valore anche ai quadri che non sono del passato presente ed è perciò che di vivere in una casa con quadri è profondamente differente che di vivere in una casa senza quadri come lo sai carissima mamma. Tutto è strano e meraviglioso, meraviglioso come se ogni istante contenesse l’infinito e penso che è così” (p. 208).

Relazioni

Questi e altri ricchissimi contributi, fonti per noi di riflessioni importanti, abitano una struttura letteraria e relazionale non facile da decifrare. Il libro contiene una bella prefazione e una biografia, scritte da Casimiro De Crescenzo e le note supportano le lettere con un corredo puntuale che aiuta a individuare le personalità citate e i legami di famiglia.

Ma gli stimoli generati dalla lettura sono ulteriori: il linguaggio di Alberto (e di Diego e Bruno, quando intervengono) sembra rispondere a un codice relazionale piuttosto strutturato, improntato a una deferenza formale nei confronti dei genitori prima, della mamma quando il padre non c’è più (Giovanni muore nel 1933). Ciò genera il desiderio di comprendere che relazione ci sia, nella determinazione del linguaggio utilizzato per scrivere, tra i fattori storici, quelli relazionali (la diplomazia interna alla famiglia) e la struttura di potere interna ed esterna al nucleo, così come si trasforma nel tempo.

Vi sono poi elementi della vita dell’artista che non troviamo tra i contenuti esplicitati: gli importanti aspetti dello sviluppo della personalità; il vissuto delle fasi critiche, cruciali nella sua biografia; i lutti, in corrispondenza dei quali non ci sono lettere. Niente viene detto da Alberto sugli aspetti più intimi del suo vivere il tempo, lo sviluppo poetico, le relazioni sociali all’interno del sistema dell’arte, le discussioni con i suoi interlocutori. Su questi vuoti estremamente interessanti il curatore del volume sceglie di non fornire un corredo integrativo ed esso non ci si propone quindi come uno strumento biografico ma piuttosto un bacino nel quale riconosciamo attraverso le parole di Alberto Giacometti temi che riguardano tutti noi, e una fonte di riscontri rispetto alle notizie e alle letture della vicenda Giacometti che ci vengono offerte dalla cospicua letteratura esistente.

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