La amiche-rivelazioni Diaty Diallo e Seynabou Sonko, la penna sei sans-papiers Gauz, voci forti e chiare della Babel France chiusasi oggi a Bellinzona
Quasi quale una corrispondenza, il vento non si è mai acquietato questi giorni. Trasportando nel cielo terso e limpido che solo certe giornate settembrine, foglie, foulard, capelli e pensieri. E parole. Dalla pagina rimbalzate ai microfoni, dalle penne ai cuori. Babel, il festival di letteratura giunto alla sua diciannovesima edizione si è rivolto quest’anno alla Francia. Un Paese, ma forse più una lingua che più di altri ha saputo dar voce nel tempo attraverso al continuo dialogo tra letteratura e filosofia (da Diderot a Camus, da Sartre a Carrère), alle questioni sociali, regalando alcune delle più significative opere letterarie. Il paese dove si manifesta in massa, si insorge, si sciopera, si mette in discussione e si grida, dove le battaglie sociali sono state in questi anni necessariamente all’ordine del giorno, dove una voce chiara e forte si contrappone con decisione alla violenza contemporanea.
Torniamo a Bellinzona, in questo ricco contenitore babelico in cui ancora si respira la spontaneità e la prossimità, dove gli eventi si susseguono cadenzati in un clima quasi familiare, prima degli autori spesso arrivano le opere. Letteratura manifesto, letteratura d’impegno civile. Soprattutto attorno a questi assi quindi, si è svolta la manifestazione; partendo dalla lettura al Convento delle Agostiniane di venerdì sera dello scrittore ivoriano Gauz (autore della ‘Trilogie des Papiers’).
Diaty Diallo e Seynabou Sonko sono amiche, sono giovani autrici e i loro rispettivi primi romanzi ‘Deux secondes d’air qui brûle’ (Seuil) e ‘Djinns’ (Grasset) le hanno rese le rivelazioni degli ultimi anni. Raccontano con la vita di chi sta ai margini perché ai margini li mette chi si crede al centro, parlano come sono cresciute con una cura minuziosa per il registro, tanto rara alla prima opera e tanto efficace nella resa diretta.
Dire la banlieu, denunciare le violenze della polizia, raccontare il razzismo, da un punto di vista che però purtroppo è sempre lo stesso: non sarebbe più interessante se fossero gli scrittori bianchi a parlarne? I due romanzi – presentati sabato in un incontro moderato dalla traduttrice Annalisa Romani – sembrano sfiorarsi e complementarsi, in un racconto fresco, a volte corale e proiettato all’esterno (‘Deux secondes’), a volte più intimo e introspettivo (‘Djinnis’).
Diaty Diallo: “Ho voluto parlare delle violenze perpetuate dagli agenti di polizia, alle persone che non ne riconoscono l’esistenza. Non riconoscono i manifestanti legittimi, la marginalità. Io voglio parlare di quello che potrebbe aggiustare questa violenza, quello che potrebbe aiutarla: il luogo, l’amicizia, la politica”. Sono tanti ragazzi, cresciuti come Diaty nella periferia di Parigi (le 9-3, dal codice postale), Saint-Denis. Ragazzi stigmatizzati, presi di mira dalla in maniera estenuante, e poi brutalizzati. Conosciamo la storia, ma qui Diallo ci porta nel gruppo, con quell’accento che solitamente in letteratura viene ‘lisciato’: “È un accento stigmatizzato il nostro, ma questo francese, questa lingua, è quella con cui io sono cresciuta. Ma bisogna assumersi la responsabilità e stare molto attenti anche a come la si costruisce, averne cura. Ho ascoltato la mia lingua e cercato un sistema per scriverla. Il rap è un buon esempio”. Non a caso tutte e due le autrici hanno scritto canzoni. “Quando non scrivo canto, o mi occupo di una scenografia, sono tutte maniere di mettere in scena i miei testi”, racconta Seynabou Sonko. Djinns è per il Corano un’entità soprannaturale, dal carattere perlopiù maligno ma in alcuni casi benevolo e protettivo. “È una figura che ho usato, è l’invisibile, racconta la cultura islamica. Mi sono fatta molte domande sull’integrazione, crollata in Francia, sul razzismo, sulla salute mentale e le diverse maniere di curarla. Esiste una visione occidentale nell’affrontare la malattia, e poi esistono altri modi”.
Penda, una ragazza francese nera, vive con la nonna nel 10ème arrondissement di Parigi, ha appena scoperto che il suo amico e vicino è rinchiuso in una clinica psichiatrica ed è convinta di essere posseduta da un uomo bianco immaginario, un Jinn. “È portatrice della nozione di differenza, è la traduttrice di questo tempo. Non è mai dalla storia che entro nella scrittura ma attraverso la lingua, e allora di conseguenza la musica. Scrivere Djinns per me era ritrovare una lingua minore, stigmatizzata. Non è gerarchizzata, è la lingua della strada. Io ho raccolto le parole da terra, le ho mischiate, naturalmente”. Sonko non parla di doppia cultura, la sua è francese: “noi tutti ci sentiamo al centro, è il bianco che ci mette in periferia. Questo romanzo è anche legittimarsi, spiritualmente”. Non c’è però traccia di autobiografia, “ci pensa già bene la sociologia a dire cosa significa essere una donna nera. Il reale non è abbastanza per raccontare con precisione esperienze complesse e singolari”.
Un legame immediato, palpabile, visibile all’attualità sociopolitica francese ce l’ha anche l’ultimo romanzo di Gauz, ‘Les portes’ (Seuil), presentato oggi dalla traduttrice Maurizia Balmelli. L’autore ivoriano, arrivato in Francia nel 1999 per perseguire un master in biochimica, ha lavorato per due anni come guardia giurata, è rimasto senza documenti per un anno e ha ottenuto la cittadinanza francese dopo la nascita del figlio. Le porte sono quelle fisiche e simboliche da attraversare per la lotta sociale. 300 sans-papiers occupano la grande chiesa di Saint-Bernard a Parigi nel 1996, un gesto simbolico, raccontato da chi la sensazione di non avere identità l’ha vissuta sulla sua pelle. Dietro questo racconto molto altro, che nonostante la lettura frammentata e l’intervista sincopata dovute a una serie di problemi tecnici del teatro, è arrivato diretto al cuore. Peccato, e sembra un paradosso, perché in questo festival di traduzione, tra tante parole e tanta giustizia, un gesto decisamente fuori luogo è arrivato proprio dal direttore artistico, quando ha zittito in maniera imbarazzante la traduttrice.
Del resto, battagliare per un mondo migliore è come “continuer à naviguer en pirate sur la mer trouble” (S.Sonko).