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Joseph Conrad, di bonacce e tempeste

Ha passato vent'anni almeno a vivere intensamente, trenta a scrivere di quella vita, ma cominciando prima. Moriva il 3 agosto di cent'anni fa

Berdičev, 3 dicembre 1857 – Bishopsbourne, 3 agosto 1924)
(Wikipedia)

“Ammettendo la possibilità di una classificazione secondo argomenti io ho fatto due pezzi di tempesta in The Nigger of the ‘Narcissus’ e in Thyphon: e due pezzi di bonaccia: questo e The Shadow-Line, libro che appartiene a un periodo successivo”. “Questo” indica Il compagno segreto e il periodo successivo in cui nasce La linea d'ombra è il 1917, sette anni dalla morte del 1924, il 3 agosto. Anche il Compagno segreto racconta del primo comando di Conrad, come l'altro romanzo più famoso. Così forse la bonaccia è una sola.

Leggendo la biografia di un autore l'attenzione si ferma su quel che non sai, sul meno noto, sul singolare. Pensi che sulle singolarità, di vario peso, poggia la sua arte, specialmente appartiene alla categoria, non così folta, degli scrittori che hanno anche vissuto. Conrad ha passato vent'anni almeno a vivere intensamente, trenta a scrivere di quella vita, ma cominciando prima. Poco dopo l'inizio della ventennale esistenza per mari e per terre, trovando anche sulla terraferma tempeste e bonacce, che forse temeva di più.

Nasce il 3 dicembre 1857 in Ucraina, allora sotto il dominio dello zar, da una coppia aristocratici polacchi. Quando il padre, aristocratico e rivoluzionario, è arrestato per cospirazione, Joseph – allora ancora Józef – ha 4 anni. A 8 anni perde la madre e a 9 vede per la prima volta il mare, a 12 muore il padre, a 17 parte per Marsiglia e l'anno dopo s'imbarca per la prima volta. A 21 entra nella marina inglese e a 31 ottiene il primo comando, l'evento che ricostruirà in La linea d'ombra. Appena scorge il vascello, “quel sentimento di vuotezza della vita che mi aveva reso tanto inquieto negli ultimi mesi perse la sua amara plausibilità, la sua mala influenza, dissolto in un flusso di liete emozioni”. Lasciava la bonaccia interiore per l'ignoto.

Giles, Burns, Ransome sono le persone – da preferire a “personaggi” trattandosi di uno scrittore così dentro la realtà, sebbene la trasponga e la affronti con la difesa delle illusioni – che saranno insieme a lui su quella nave, insieme allo strano coro di marinai dalle figure sfuggenti per via della malattia, anonimi salvo un paio ma da meritare una delle due dediche del racconto: “Degni del mio imperituro ricordo”. Giles è il benevolo e reticente consigliere che guida il protagonista verso il primo comando, Burns il secondo ufficiale con cui ha il rapporto più complesso, Ransome è il subalterno amichevole e soltanto ammirato, il sostegno nei momenti terribili della bonaccia, vale a dire per venti giorni. Ma anche Burns lo è, semi-morto in cabina, farneticando di malie del precedente comandante. C‘è un romanzo tra i meno noti di Conrad, e storia di un ultimo comando, il cui titolo potrebbe essere il sottotitolo di tutte le sue storie: All'estremo limite (1902). Fino all'estremo limite delle capacità umane, fidandosi solo di queste capacità: è il pessimismo ottimista di Joseph Conrad. Il destino o il fato provano a fare di te ciò che vogliono. Tu ti opponi, se non sei d'accordo, con tutte le forze che hai, del corpo e dello spirito. Con il morale e con la morale. Stessa parola per concetti distanti. Eppure si può credere che quando il morale va bene ti restano maggiori risorse per non cedere nel versante della morale. Quanto più il morale pericola giù verso... Cerco le parole giuste e le trovo tornando alla lettura de La linea d'ombra, casualmente: “angustia o scoramento”. Se ti vincono a lungo, anche la morale e la dignità – parole diverse e concetti vicini – sono a rischio.

Borges conobbe Conrad nei suoi tre anni di gioventù ginevrina. Discorrendo con Bioy Casares dice che quello di Linea d'ombra (“Soltanto i giovani hanno momenti del genere”) è “un inizio naturale”. Aggiunge che le “frasi di Conrad sono dirette, stabiliscono immediatamente un'intimità con il lettore (...) il suo stile non è personale, non è creato da lui ma è il perfezionamento di quel che tutti fanno”. Invece “la maniera di James o di Faulkner è personale, inconfondibile, una loro creazione e permette il lavoro dei critici”. Dal che deriva che lo stile di Conrad rende difficile il lavoro dei critici. Nel giudizio di Borges, in realtà, “permette il lavoro dei critici” diventa una limitazione per i due autori citati (che non amava meno); e “inconfondibile” lì non è una dote.

Quando il protagonista de La linea d'ombra siede per la prima volta sulla poltrona del comandante, la voce dell’“anima del comando”, dei capitani che hanno occupato quel posto sembra parlargli. Così dice (nella traduzione di Gianni Celati): “Anche tu, – pareva dicesse – anche tu proverai il gusto di quella pace e irrequietezza, nella vigile intimità con te stesso, oscuro come noi fummo oscuri, ma sovrano di fronte a tutti i venti e tutti i mari, in un'immensità che non trattiene tracce, non preserva memorie, e non fa conto delle nostre vite”.

La lettura di Conrad comunica immancabilmente un senso di potenza. E la percezione di una vicinanza desiderata all'“umile realtà delle cose”.

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