Cosa c’entra la lotta armata con l’essere madre? L’immagine in copertina è quella del saggio di Giulia Siviero, giornalista e femminista militante
La copertina è respingente. Eppure non si può fare a meno di guardarla. Più la si osserva più ci si interroga sulla scelta di un’immagine tanto forte da generare un immediato cortocircuito di pensieri, dove la tenerezza della maternità si scontra con una delle icone per eccellenza della violenza più spaventosa e brutale. Chi è questa donna che allatta un bambino con un passamontagna in testa? Cosa c’entra la lotta armata con l’essere madre?
Sono sufficienti le prime pagine introduttive al saggio ‘Fare femminismo’, edito da nottetempo, per comprendere all’istante il motivo di una scelta tanto spiazzante quanto azzeccata.
Giulia Siviero, giornalista e femminista militante, ci offre in sei capitoli una panoramica sulla storia dei movimenti femministi riportando vicende specifiche avvenute in più parti del mondo e in epoche diverse. Dagli Stati Uniti all’Italia, passando per la Germania, la Francia, l’Africa, la Corea del Nord e l’Argentina, ripercorriamo il calvario degli aborti clandestini, la nascita dell’autocoscienza e delle pratiche di riappropriazione del corpo, la riscoperta della sessualità e dell’autodeterminazione, le lotte suffragiste, l’occupazione tenace e resistente dei luoghi negati per secoli alle donne.
Non si tratta però di un semplice libro di storia del femminismo, tutt’altro. Anche se è impressionante (e imprescindibile) venire a conoscenza dei dettagli (legali, domestici, sociali) sulle condizioni discriminatorie che le donne hanno subito per secoli fino ad appena una manciata di anni prima di noi. Tanto per fare un paio di esempi, bisogna attendere il 1971 perché in Svizzera ottengano il diritto di voto e il ’96 perché in Italia vengano abrogati gli articoli del codice fascista Rocco che definivano lo stupro come un delitto contro la moralità pubblica e il buon costume. Ogni racconto riportato nel libro ha dunque la funzione di azione guida, fondamentale per quella che Giulia Siviero chiama con un felice neologismo ri-memorazione: una sfida alla comune smemoratezza in favore di una pratica che necessita di costanza e rinnovamento, con uno sguardo al passato:
“Nella genealogia femminista i corpi non biologicamente legati si connettono e riconoscono nella reciprocità e (…) si chiamano da lontano, attraversano le pareti porose del tempo e dello spazio, per trovare altre orecchie e altre bocche disposte ad accogliere, trasformare e rimettere al mondo”.
Parafrasando la filosofa Ida Dominijanni, Siviero aggiunge che “non bisogna pensare al femminismo storico come a una sorta di assicurazione a vita per le generazioni successive. Il femminismo non è mai stato una banca di diritti acquisiti, è stato e resta un movimento di pratiche di libertà che vanno rimesse al mondo continuamente”.
Ed ecco che allora la foto di copertina, scattata dalla fotografa femminista venezuelana Argelia Bravo, diventa la sintesi perfetta per un libro militante, un esempio efficace di un tipo di comunicazione che chiede con urgenza di non essere ignorata. Anche a costo di usare le maniere forti. Perché, come ci insegna Emmeline Pankhurst, suffragista inglese a capo di numerose azioni di guerriglia, “non si possono far frittate senza rompere le uova”.