laR+ L’intervista

Olmo Cerri e quel podcast stupefacente

Storia di un Ticino che, per un breve periodo, è diventato una piccola Amsterdam, ‘Quegli stupefacenti anni zero’ è finalista agli Italian Podcast Awards

Olmo Cerri, il 7 luglio l’esito del contest
3 luglio 2024
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«Sono stati anni molto formativi in cui ho incontrato persone e mi sono costruito una visione del mondo», racconta Olmo Cerri, rievocando un passato che sembra un episodio di ‘Breaking Bad’ ambientato sulle Alpi svizzere. Il suo podcast ‘Quegli stupefacenti anni zero’, finalista agli Italian Podcast Awards per la categoria Cultura, narra la storia stupefacente (in ogni senso) di un Ticino che, per un breve periodo, è diventato la “piccola Amsterdam” durante l’era dei canapai. Una produzione di Rsi Rete Due, per la quale il successo non è caduto dal cielo ma è stato una caccia al tesoro orchestrata con maestria: sapiente ricerca, un tema con un tocco di dramma per catturare l’attenzione, e una storia così incredibile da farla sembrare frutto della fantasia. E il buco legislativo che alla fine del millennio ha reso apparentemente legale in Svizzera la vendita dei “sacchetti odorosi” di canapa – ufficialmente destinati a profumare gli armadi ma finiti rapidamente negli zaini degli adolescenti – spuntava tutte le caselle. «È stata una sorpresa essere finalista», ammette Cerri. «Anche perché è iniziato tutto con un commento casuale. Qualcuno mi raccontò un fatto dicendo: ‘Ma erano proprio gli anni dei canapai!’». È da lì che la scintilla creativa si è accesa, spingendolo a scavare nei ricordi di un Olmo adolescente.

In cinque episodi, la voce di Cerri dipinge un quadro dell’impertinente storia del Cantone, un racconto che attraversa gli anni zero, dalle avventure adolescenziali fino agli eccentrici anni dei canapai all’Operazione Indoor per smantellarli. Non si limita a cavalcare l’onda dei ricordi; è un’indagine giornalistica che segue il ritmo e gli schemi dei popolari podcast true-crime, dove autore e ascoltatore partono insieme dalla linea di partenza. Tante cose Cerri le ha capite facendo ordine nella sua storia con uno sguardo bifocale che attraversa le puntate: da una parte l’adolescenza galvanizzata dai ricordi, dall’altra la coscienza adulta, entrambe in conflitto e complemento. «La memoria mi affascina: conservo lettere, appunti, mi piace tenere d’occhio la mia storia». Ha creato un collage di frammenti di memoria, storie personali e quelle di chi ha vissuto quegli anni. «Durante un viaggio in treno, ho buttato giù tutto quello che ricordavo: episodi, momenti, flash, immagini. Quel caos è diventato il punto di partenza». Poi c’è stata una ricerca in biblioteca, i giornali dell’epoca e i primi nomi delle persone coinvolte.

Ascoltare

Ci si aspetterebbero porte sbattute in faccia per chi tenta di rispolverare una storia così controversa, ma il vero talento di chi i podcast li fa per passione e non per moda sta nel saper far sbottonare anche gli intervistati più reticenti. «In questo caso c’è una distanza storica di vent’anni, e poi tutti i commercianti e gli agricoltori erano orgogliosi di quello che facevano: si consideravano pionieri. Il sentimento era quello che le autorità avevano sbagliato, quindi erano contenti che ci fosse qualcuno che ascoltasse le loro storie», continua. «Accade spesso quando faccio i documentari: il fatto di mettersi all’ascolto delle persone è qualcosa che fa sempre un enorme piacere». Come quello del pifferaio magico, il suo è stato un viaggio al quale si sono aggregate sempre più persone lungo il tragitto, in un tributo collettivo a un’epoca bizzarra. «Ho ricevuto decine di messaggi: persone che mi inviavano fotografie, ricordi, frammenti di un passato che, nonostante tutto, ha segnato una generazione. È una memoria collettiva un po’ sbiadita, perché non è proprio uno di quei periodi di cui andare fieri o di cui vantarsi. In fondo, hanno agito male tutti».

‘Quegli stupefacenti anni zero’ non cerca un capro espiatorio da sacrificare, ma scatta una panoramica che intreccia la saga dei canapai con le contraddizioni tra una gioventù spensierata e la complessa rete degli eventi storici in cui Cerri e i suoi amici cercavano di crescere. «Essendo immerso in quegli anni, erano tempi davvero divertenti, anche perché vivevo all’oscuro di tutto quello che stava succedendo», dice. «Tante cose le ho capite facendo il podcast. All’inizio avevo un’idea confusa e vaga, ma facendo un po’ di ricerca sono riuscito a chiarirmi su molti posizionamenti e sulle dinamiche che ruotavano attorno a questa storia. È stata un’occasione persa per affrontare seriamente il tema della legalizzazione e rimuoverlo dal contesto della criminalità organizzata».

Meticolosità

Ma cosa distingue ‘Quegli stupefacenti anni zero’ dalla miriade di podcast realizzati col copia e incolla? «Ho l’impressione che come questo podcast, che abbiamo potuto realizzare grazie alla fiducia della produttrice Francesca Giorzi, non se ne trovino molti, perché c’è tanto lavoro di scrittura, di ricerca, interviste, e non sempre è sostenibile». Non il tipico contenuto dove due persone chiacchierano davanti a un microfono. È un lavoro meticoloso e confezionato con materiali estratti dagli archivi della Rsi, testimonianze di protagonisti da entrambe le parti della barricata, e una sceneggiatura che riesce a riportare in vita un periodo chiave della storia recente. «È la modalità di fare podcast più ricca».

E mentre aspetta la premiazione del 7 luglio a Piacenza, il podcast sarà di nuovo su Rete Due in ‘Alphaville’ fra l’8 e il 12 luglio, sempre disponibile sul sito e sulle principali piattaforme di podcasting. Il futuro di Cerri, nel frattempo, è già in fermento: “Stiamo portando in giro per la Svizzera il documentario ‘La scomparsa di Bruno Breguet’, in autunno sarà anche in Ticino. Mi piacerebbe – conclude – andare avanti a lavorare sulla narrazione audio e ho diversi progetti in cantiere, ma è ancora presto per parlarne».


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