Attento osservatore della natura e della società, i cui elementi costitutivi da lui individuati vengono rappresentati in modo inedito nelle sue opere
L’artista è colui che sa togliere il superfluo di ciò che vede o sente; che sa levigare e ripulire ciò che appare ai nostri occhi nell’incessante divenire. Solo dopo attenta osservazione e riflessione, l’artista sa ricomporre un’opera inedita e significativa, come sa fare Flavio Paolucci. Attento osservatore della natura e del paesaggio, egli ricompone gli elementi essenziali di ciò che vede e sente nel suo Atelier di Biasca, accostando questo o quell’altro elemento del materiale raccolto in un’opera di assoluta originalità: non per imitazione, ma per composizione artistica. Paolucci, nato a Torre novant’anni fa, ha dietro di sé un percorso formativo ed esperienziale di grande intensità: ha studiato all’Accademia di Brera, ha trascorso un anno in Marocco, ha esposto nelle principali Gallerie del Ticino, della Svizzera e internazionali (al Kunstmuseum di Olten, al Centre culturel suisse di Parigi, al Museu de arte al Sao Paulo, all’Aargauer Kunstmuseum, al m.a.x Museum, al Museo d’arte moderna di Buenos Aires, al Museo d’arte contemporanea di Genova, e in tanti altri). Ha conseguito riconoscimenti ovunque: a 24 anni, il primo premio alla Biennale dei giovani di Gorizia; nel 1961 a Parigi, il secondo premio all’Esposizione internazionale dell’Unesco. Già membro della Commissione federale di belle arti e rappresentante della Svizzera alla Biennale di Tokyo del 1988. Pochi sanno che Paolucci era anche uno sportivo di tutto rispetto in gioventù: vinse diverse gare sciistiche individuali e a staffette e disputò pure una discesa del Lauberhorn.
L’artista Paolucci è un attento osservatore della natura, ma anche della società, i cui elementi costitutivi da lui individuati vengono rappresentati in modo inedito nelle sue opere. Egli osserva attentamente il ciclo del divenire, l’essere e il deperire della natura che lo fanno riflettere: “Amo molto guardare le cose, toccarle, sentire la loro corporeità”.
È stato detto che la sua arte tende all’informale. Non condivido questo giudizio, se per arte informale si intende il rifiuto di qualsivoglia forma sull’onda delle emozioni. Egli, a partire dal materiale raccolto durante le sue osservazioni, opera poi nell’Atelier un vero lavoro di eliminazione del superfluo e una ricostruzione originale per giustapposizione di elementi naturali e di forme geometriche. Paolucci compie così una vera trasformazione della natura, accordando le differenti porzioni della stessa in una sua composizione di bilanciamento tra varie forze opposte. Le opere di Paolucci riescono in tal modo a rappresentare in modo filiforme la fragilità del divenire e degli oggetti naturali o artificiali.
Intravedo nelle sue opere una ricerca costante di un possibile equilibrio permanente, anche se fragile e precario (una sola foglia è rimasta), attraverso alcuni segni iconici (la barca, la colonna, la casa, la foglia, l’uovo) e un alfabeto geometrico (il cerchio, i triangoli, le linee verticali o piane). L’artista ne è pienamente consapevole: “Vorrei solo proteggere la saggezza e rimanere attaccato a qualche cosa maturata nel tempo”. Ecco, forse, il significato del “Filo nero” presente in alcune sue opere.