laR+ L’intervista

Luigi Zoja narra la nostra storia

Nei suoi testi più recenti, non solo l’applicazione dei metodi clinici della disciplina, ma anche il rimando alla letteratura e all’arte

L’autore, ospite dell’ultimo ChiassoLetteraria
(Wikipedia/Jindřich Nosek (NoJin))
19 giugno 2024
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Iniziata nei primissimi anni Duemila, l’opera saggistica di Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo, da sempre porta l’attenzione sulle mutazioni del nostro vivere che ci sfuggono ed evidenzia la relazione tra il male nell’individuo e il male nella società, mettendone a fuoco la loro ineliminabile, stretta dipendenza. Nella continuità con i primi noti libri quali ‘Paranoia, la follia che fa la storia’ o ‘La morte del prossimo’ e altri ancora, è da poco in libreria la sua recentissima lunga opera, ‘Narrare l’Italia, dal vertice del mondo al Novecento’ (Bollati Boringhieri), durata nove anni di ricerca e lavoro, uscita in aprile e presentata in anteprima a ChiassoLetteraria lo scorso 5 maggio. Qui Zoja estende il suo metodo osservativo e il suo sguardo di psicoanalista e sociologo a tutta la nostra storia, non solo italiana ma anche mondiale, ci ricorda per esempio il Medioevo, così come il Rinascimento o i giorni bui del fascismo, mentre sempre presente sullo sfondo è il destino delle relazioni tra gli Stati europei e delle grandi guerre che ci riguardano. Ma l’autore non applica solo i metodi clinici della sua disciplina, che pure usa evidentemente: continuo è il rimando, sorprendentemente nuovo e abbastanza affascinante, alla letteratura o all’arte, alla cronaca di un passato lontano e di un presente vicino, mostrandoci che è proprio qui e solo qui che rintracciamo lo specchio fedele della nostra storia. E così incontriamo, per esempio, l’opera di Giotto o i versi di Virgilio, o la filosofia di Nietzsche e gli scritti di Giovanni Gentile, così come recenti opere cinematografiche nelle quali si ammirano gli eroi e poco dopo gli antieroi contemporanei, come nei film di Alberto Sordi.

Quest’opera di Zoja – che Antonio Scurati definisce “uno dei pochi autentici pensatori italiani contemporanei” – è preceduta da un libro immediatamente leggibile dal titolo ‘Sotto l’iceberg: presenze inconsce nella società e nella storia’, un testo molto più breve e che racchiude articoli, saggi, conferenze. Il libro parte dall’assunto che noi siamo l’iceberg, rappresentiamo molto bene questa immagine perché in ogni persona rimane cosciente, appunto, solo la piccola parte che emerge. Perché al di là dei nostri pensieri, delle scelte che crediamo di compiere e delle vere ragioni delle passioni che crediamo di avere, molto ci rimarrà per sempre ignoto. Anche questo è un libro di continui rimandi, alla tragedia greca di Medea, ai film di Bergman e Fellini, a Omero o ai libri di Luis Borges. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Luigi Zoja. Per quanto ognuno di noi sia convinto delle ragioni che lo spingono alle scelte della sua vita, pare che i veri motivi che determinano il nostro agire sarebbero altri e ci rimarrebbero sconosciuti, perché provenienti da quella parte dell’iceberg, per citare il suo libro, che non emerge perché sommersa. Anche le decisioni politico-sociali collettive dell’area pubblica seguirebbero quindi questa legge?

È più complicato, in un sistema democratico. Le decisioni sono il risultato di molte componenti, derivanti dalla volontà di molte persone. Compromessi, dialoghi (o rivalità), limiti concreti come quelli di spesa. Sotto una nuova legge ci sono molte volontà, non una. E i suoi fattori inconsci (il suo “inconscio collettivo”, usando il concetto di Jung) sono in parte diventati coscienti attraverso i dibattiti. Come però dico nella introduzione, quando tutto è nelle mani di un dittatore i suoi bisogni inconsapevoli e mostruosi finiscono coll’agire nel tempo ed emergere. Hitler dichiarava di volere realizzare il bene della Germania. Invece, da malato mentale, voleva realizzare l’antico mito germanico, che includeva l’apocalisse e la morte dei mitici guerrieri. Per questo, anche quando avrebbe potuto cercar di sopravvivere con compromessi, preferì le scelte distruttive. Nell’ultimo “ordine ufficiale” (Nero Befehl, Ordine Nerone) comandava di distruggere tutto ciò che era ancora in piedi in Germania, per non consegnarla al nemico. Per fortuna, mancarono i mezzi.

In che misura e fino a che punto possiamo avere la possibilità di riflettere su questo fenomeno?

Tutti noi abbiamo la possibilità di riflettere un poco di più, prima di agire con poca coscienza. Purtroppo, in questo senso il progresso non ci aiuta. Da quando c’è internet e la comunicazione “in tempo reale”, ci siamo abituati a risposte sempre più rapide, quindi sempre meno meditate. E questa velocità, che va a scapito della profondità, cresce quanto più si è giovani. Per questo credo sia utile riflettere su quanto tutti siamo inconsci. Se le nuove generazioni diventano dipendenti da smartphone e tablet, rischiano di trasformarsi in appendici di questi aggeggi. Dovremmo invece restare collegati alla nostra interiorità, non solo a oggetti esterni. La psicanalisi ha detto proprio questo: i sogni o i nostri umori incomprensibili non vanno svalutati solo perché irrazionali. Sono la parte immersa di quell’iceberg che è la nostra psiche.

Nel libro scrive che chi entra in politica ponendo in primis questioni etiche difficilmente ha immediato successo...

L’etica è di nuovo parte profonda della psiche. Come diceva Neumann – il maggiore allievo di Jung, cui nel libro dedico un saggio – anche le nostre motivazioni non coscienti possono fare del male. Il nostro dovere, quindi, più che essere assolutamente giusti è di fare ogni sforzo per divenire coscienti. Purtroppo la maggior parte dei politici pensa soprattutto alle prossime votazioni.

Gli psicologi e gli psicoanalisti possiedono inevitabilmente la capacità di usare maggiori strumenti interpretativi per spiegare o commentare dal loro punto di vista i comportamenti politici pubblici. Generalmente però si astengono dal farlo e preferiscono applicare il loro sapere nella riservatezza del privato. Se lo facessero non crede che potrebbero offrire specifici contributi per la comprensione?

Lei sfonda una porta aperta. Da tempo, dedico più tempo a scrivere libri come questo che ai pazienti. Naturalmente, ponendo certi problemi si rischia di esser poco popolari, anzi di far la fine del Grillo Parlante schiacciato da Pinocchio. Insomma, né si vendono gran quantità di libri e né si vive in pace: sarebbe meglio dedicarsi solo ai pazienti? Non penso che sia giusto. L’essere umano non è solo un individuo, è anche un essere sociale.

La storia è fatta di trasformazioni e continui mutamenti politici e sociali. Ma per descrivere le caratteristiche del presente che il suo libro prende in esame lei afferma che il termine esatto è “Metamorfosi”. Perché questo termine?

Perché mutano non solo le forme, ma quasi la natura stessa della società. Diventerà sempre più competitiva? Le relazioni consisteranno più in rivalità che in affetti? Spero di no. Ma, come dicevamo poco fa, fa paura osservare molti giovani che dipendono più da schermi che da relazioni umane vere.

In che misura ciò che lei indica come “fattori inconsci” influenzano le tendenze sociali e lo svolgersi della politica? Ci fa un esempio?

Per restare a un caso estremo ma chiaro, Hitler era convinto che le “mescolanze di razze” indeboliscano una società. Oggi sappiamo che tutto questo è falso e antiscientifico. In lui l’idea derivava da una ossessione per le contaminazioni. Per esempio, discuteva sempre dei pericoli derivanti dalla sifilide. Un timore probabilmente legato a esperienze personali.

Sono le emozioni più primitive che hanno il maggior potere? Nel suo libro uscito nel 2011 e ripubblicato nel 2023, ‘Paranoia, la follia che fa la storia’, lei analizza le emozioni che provocano ‘paranoia’ e ‘contagio psichico’ e che sono nel cuore della società. Quali tipi di persone sono maggiormente predisposte a subire questo contagio?

Purtroppo, un numero vastissimo. In sostanza, chi sa ben poco di politica, di economia, di storia, ma ritiene di poter sempre strillare pareri giusti e semplici. Il che in parte coincide con quello che oggi chiamiamo movimento populista.

Le emozioni inconsce collettive del mondo post-moderno non sono, proprio per loro natura, ingestibili e incontrollabili? Diversamente, possono soltanto riconoscersi in un potere tirannico che le contenga?

Non dobbiamo esagerare. Movimenti collettivi irrazionali e potenzialmente distruttivi sono sempre esistiti. Pensiamo alla Crociata dei Fanciulli del Milleduecento. Per quanto ne sappiamo, fu una specie di contagiosa follia collettiva in cui moltissimi minorenni si persero. Ma è vero che allora le notizie si spargevano di bocca in bocca, quindi limitatamente. Oggi gli stessi ragazzi potrebbero incoraggiarsi a vicenda a partire per una “crociata” attraverso i social. La tecnica moderna è a disposizione anche dei folli e degli sciocchi.

Lei cita la paura, il risentimento, il rancore fra le emozioni pubbliche che vengono sperimentate collettivamente nel sociale e quindi determinano in certa misura anche la politica. Il singolo individuo dove può trovare le ragioni valide per non essere totalmente coinvolto, per comprendere del tutto le cause di una complessità enorme?

Personalmente non credo che si possano “comprendere del tutto” le cause della complessità che ci circonda. Penso però che siamo tutti ragionevolmente d’accordo con lo scopo della vita che Dante mette in bocca a Ulisse: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. In italiano (a differenza del tedesco o dell’inglese) la parola coscienza ha un doppio senso: consapevolezza contrapposta all’inconsapevolezza (la parte immersa dell’iceberg), e coscienza morale. Questo sviluppare la coscienza è il compito etico di tutti: uguale, per esempio, se si è religiosi praticanti o laici. Se mancasse questa finalità (che è contemporaneamente morale e psicologica) saremmo un branco di galline. Ma così non è, siamo esseri sociali e morali: malgrado egoismi e cinismi, la maggioranza lo avverte. Se la società fosse affidata all’istinto della gallina si sarebbe già distrutta.

Scrive che nell’ultima parte del XX secolo e l’inizio del presente assistiamo al trionfo dei valori dell’individuo nella politica, che non si rivolge più alla massa genericamente. Si sta verificando, sotto questo aspetto, qualcosa di simile a quello che Carl Gustav Jung definiva “individuazione” o ciò non ha niente a che vedere con questo concetto?

Ha poco a che vedere. Purtroppo si tratta soprattutto di crescita dell’individualismo e dell’egoismo. La individuazione di Jung è la valorizzazione dei potenziali dell’individuo, che risulta sempre utile sia a lui che alla società nell’insieme. Ma alla individuazione ci si può dedicare quando si è rispettosamente integrati nelle regole della società: se fosse contro di essa rappresenterebbe una meta anarchica e irraggiungibile.