‘Prima del calcio di rigore’ di Peter Handke, Premio Nobel per la letteratura 2019
Ecco un protagonista con cui non si empatizza. Ma occorre arrivare alla fine per vederci più chiaro, nella storia e nel suo protagonista. L’autore lo chiama sempre Bloch con il solo cognome, ne riferisce le vicende come se le stesse riepilogando. Un’aria di resoconto, appunti per un romanzo da scrivere mentre in realtà lo si sta scrivendo. Da qui anche quel tono di fatalità che assume ogni cosa. Ogni giornale – ce ne sono tanti, comprati o trovati, toccati e a volte letti – è il Giornale, ogni cabina del telefono la Cabina del telefono, tutti i chioschi sono il Chiosco (così un fiammifero, un bicchiere...) Accade cioè qualcosa che non ti aspetti: gli oggetti, i gesti pur generalizzati si ritagliano profili più netti, più veri. Così anche la povera cassiera che Bloch adesca e che, staccato ormai da tutto quanto vede e gli succede, uccide sul suo letto, è più vera – conoscendola noi così poco – che se fosse esistita.
Bloch cammina, ripete le stesse strade e azioni e si guarda agire e camminare. Pensa come penserebbe uno specchio, registrando ogni cosa. Pronunciando il nome di ciò che vede. Non comprende nulla. Un clinico direbbe che si tratta di una forma di dissociazione? Intanto però, dato che c’è stato un delitto, anche noi vogliamo vedere cosa accadrà a Bloch, da una distanza un po’ maggiore di quella da miope da cui osserva lui. Per le strade di quale città si sposta? Qual è il suo primo nome? Handke preferisce che continuiamo a ignorarlo. Possiamo sapere invece che ha una ex moglie, che prova a chiamare in un paio di occasioni senza riuscirci, e che è un ex calciatore. Già da qualche giorno ha preso un autobus, ora si trova in un paese vicino al confine. La distanza tra lui e ciò che accade sembra aumentare. I giornali continuano ad accompagnarlo: quelli della locanda, del bar. E un giorno legge che nella stanza della donna uccisa è stata trovata una moneta di un centesimo americano (che era sua) e un giornale con degli scarabocchi sul margine. La notizia non ha però uno spicco maggiore di tutto quanto le sta intorno. Tutto ha lo stesso peso o nessun peso, e quando nei suoi vagabondaggi nei dintorni del paese, fissando i guizzi di rane e pesci lungo il torrente, Bloch scorge il cadavere del bambino scomparso da pochi giorni, anche questo non ha maggior rilievo. Tornato alla locanda, trova le carte e inizia un solitario.
Bloch osserva la sua vita come se la stesse leggendo nel giornale, già con la pagina tra le dita pronto a girarla. A volte gli oggetti sempre distanti (“Gli pareva che uno scalpello l’avesse distaccato da ciò che vedeva...”) si avvicinano di colpo, troppo però, da poter vederne solo un dettaglio. Altre volte assumono l’aspetto del nome che li rappresenta, e perdono ogni consistenza. La storia è un seguito di cose vedute, più che accadute. Eppure accadono mentre Bloch vi si perde in mezzo, le sbaglia o le sfiora (oppure no: ben poco accade, atti minimi quotidiani che lui registra senza sosta conferendogli un’apparenza fuor di misura). E noi seguiamo con un occhio lui, contagiati da tanto guardar fisso che ti impedisce di vedere, e con un occhio le vicende, cercando di conservare sano almeno il secondo sguardo. Vogliamo sapere come va a finire, che è la ragione di ogni storia. Bloch finge che la propria sorte gli interessi come tutto il resto: quasi niente. Vogliamo sapere se quel centesimo caduto, o gli scarabocchi sul giornale, porteranno la polizia alla locanda dove vive. Se ha un ruolo il centesimo, nel suo destino, maggior ruolo avrà il dollaro che scambia alla posta del villaggio? O gli spiccioli che gli erano caduti sulla corriera.
In Prima del calcio di rigore (nell’originale però Die Angst des Tormanns beim Elfmeter) Handke ha voluto tentare un esperimento - gli anni Settanta sono il decennio degli esperimenti -: vedere che succede portando agli estremi il tema dell’estraneità e della reificazione del soggetto, della perdita d’identità nella società capitalistica, e via dicendo. Ma il personaggio Bloch è autentico fin dalle prime pagine e dalle prime righe. E così tutti gli altri personaggi, fino alla comparsa più fugace.
Come si può rappresentare l’angoscia senza mai dirla? Questo pare essere stato un altro dei propositi del romanzo, il cui titolo comincia con Die Angst. L’angoscia provocata dall’omicidio, dall’insensatezza e dal vuoto della sua vita, si comunica alle cose. Perdono senso le relazioni e la storia va assumendo, nella seconda parte, l’aspetto di una concitata, grottesca comica muta. Salvo acquietarsi nel finale guardando una partita a bordo campo. Parlando per una volta pausatamente, coerentemente.
Per scrivere una storia così devi essere il tuo personaggio fino ai movimenti più impercettibili, esterni e interni. E la forza e il coraggio del romanzo si misurano qui: per scrivere la storia alienata di Bloch devi diventare Bloch.