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Michael Taussig e i mondi dietro la palma da olio

Appunti da uno scambio epistolare con l'antropologo australiano, ospite venerdì 31 marzo degli Eventi letterari Monte Verità (che iniziano il 30)

Michael Taussig
29 marzo 2023
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Abbiamo una certa familiarità con l’olio di palma: quando c’è, vediamo il suo nome citato in piccolo nell’elenco degli ingredienti; quando non c’è, vediamo il suo nome riportato in grande preceduto da un orgoglioso “senza”. Sappiamo che – come del resto tutti gli acidi grassi saturi – fa male alla salute; probabilmente abbiamo sentito qualcosa sulla deforestazione e la scomparsa di ecosistemi e specie animali, rincuorandoci per l’esistenza dell’olio di palma certificato sostenibile.

Ma questa è solo una parte della storia che riguarda l’olio di palma e la palma da olio. E probabilmente non è neanche la più interessante. Solo che per scoprire il resto della storia, quella che riguarda i rapporti di potere, la dominazione e la resistenza di persone, popoli ed ecosistemi, occorre lasciare da parte alcuni schemi di pensiero e sperimentare nuovi linguaggi. Dimenticare la Elaeis guineensis, il nome scientifico della palma da olio stabilito nel Settecento da un botanico olandese, e guardare alla Palma africana, come la pianta viene chiamata dalle popolazioni dell’America del Sud; lasciare da parte le valutazioni oggettive sugli impatti ecologici ed economici e guardare al mondo nel suo complesso facendo ricorso a quello che, per noi occidentali, è il linguaggio dell’arte e della poesia.

Il tema è delicato: quello del rapporto tra un sapere scientifico che si ritiene più occidentale che universale e i saperi tradizionali di altre culture. In Nuova Zelanda si discute quale ruolo dare alle “vie della conoscenza maori” nel sistema scolastico e c’è chi, non senza ragioni, teme l’introduzione di credenze pseudoscientifiche. Dall’altra parte, vediamo anche questi saperi tradizionali trasformarsi in kitsch new age, arrivando anche ad assumere forme grottesche come lo pseudo-sciamano con corna e pelliccia che ha attaccato il Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021.

Il lavoro dell’antropologo Michael Taussig si pone in una via di mezzo: l’antropologia e l’etnografia sono scienze – o forse è meglio chiamarle “imprese” – comparative, cercano relazioni tra culture diverse, tra la “nostra” e la “loro”. Taussig è stato chiamato dagli Eventi letterari Monte Verità per animare la prima edizione di El MoVe, versione rinnovata del Cenacolo del Monte Verità che si pone come obiettivo indagare le relazioni tra letteratura e altre discipline. Il tema di quest’anno è l’importanza dello stile nella divulgazione scientifica e Taussig in questo ha molto da dire.

Nato in Australia da genitori austriaci fuggiti dal regime nazista, Taussig si è laureato in medicina a Sydney. A causa della guerra del Vietnam, i suoi interessi si sono spostati verso il colonialismo e l'antropologia che ha studiato alla London University. Alla fine del 1969 si è recato in Colombia per iniziare un lavoro sul campo, tra le grandi piantagioni di zucchero che si espandono appropriandosi delle fattorie degli ex contadini schiavi. Ne sono nati due libri: uno scritto per i contadini e i lavoratori senza terra e un testo accademico, ‘The Devil and Commodity Fetishism’ (recentemente tradotto in italiano per DeriveApprodi col titolo ‘Il diavolo e il feticismo della merce’). Ha poi vissuto con uno sciamano indigeno, Santiago Mutuimbajoy, nell'Alta Amazzonia e ha scritto un libro intitolato ‘Shamanism, Colonialism and the Wild Man: A Study in Terror and Healing’. Da allora ha pubblicato una dozzina di altri libri, l'ultimo dei quali è "Mastery of Non-Mastery in the Age of Meltdown", attualmente in corso di pubblicazione in italiano.

Agli Eventi letterari Taussig terrà anche una conferenza, in programma domani venerdì 31 marzo alle 18.30 al Monte Verità, che sarà appunto sulla palma da olio alla quale ha dedicato un libro, ‘Palma africana’, che è riflessione non solo sugli effetti delle piantagioni di palma da olio con distruzione, violenza ed espropriazione – la palma da olio è per il post-colonialismo quello che la canna da zucchero è stata per il colonialismo –, ma anche sulla stessa scrittura etnografica. Lo stile adottato da Taussing viene definito, in quelle stesse pagine, “serpentino: dettagliato, aneddotico, composito, e che salta in mezzo a pozzanghere di tedio”. Compagni di viaggio di Taussig sono Roland Barthes, Georges Bataille, il poeta romantico Heinrich Heine, i filosofi Deleuze e Guattari, Walter Benjamin. E ovviamente contadini, narcotrafficanti, guerriglieri, paramilitari e (x)paramilitari, ovvero “ex paramilitari che di fatto sono ancora paramilitari ma adesso hanno una X davanti”. Scopriamo inaspettate alleanze, mimesi che da occidentali saremmo tentati di vedere come metafore: a resistere sono contadini attivi nei movimenti di rivendicazione della terra, artisti di strada delle baraccopoli che piantano semi per entrare in contatto con le vittime dei paramilitari, fiumi e paludi che sfuggono al controllo di dighe e drenaggi. Monocolture e paramilitari sono accomunati da una guerra contro i contadini e la natura e sono quello che Taussig chiama “emanazione del sublime negativo”, ovvero “la qualità spettrale del male o, in termini meno biblici, l’orrore del tagliare la gola”.

Questa narrazione che, per tornare alle commistioni tra letteratura e comunicazione della scienza, è vicina al realismo magico di ‘Cent’anni di solitudine’ può aiutarci a superare la normalizzazione del male e della violenza. Il terrore può così diventare una forza in grado di mettere in discussione la nostra relazione con il mondo e aprire la strada a differenti sguardi sul mondo.

Si emerge dal libro di Taussig senza dati sullo sfruttamento, senza alternative agli effetti distruttivi dell’industria dell’olio di palma o altre soluzioni pratiche o idealistiche. Ma ne usciamo con l’idea che l’olio di palma non è semplicemente una pianta o un sistema economico, ma una lente per ripensare il nostro punto di vista.

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