laR+ L’intervista

Radu Jude: ‘Credo nella possibilità delle citazioni’

Parla l’Orso d’oro 2021, fulcro de ‘L’immagine e la parola’, l’evento primaverile del Locarno Film Festival al GranRex

Berlino, 2021
(Keystone)
12 marzo 2023
|

La Romanian New Wave è movimento contemporaneo cinematografico rumeno che determina una grande rinascita per il cinema esteuropeo, esploso negli ultimi vent’anni grazie a grandi nomi come Cristi Puiu, Cătălin Mitulescu, Cristian Mungiu. E come Radu Jude, i cui film vanno verso il cinema del reale e si contraddistinguono per una ricerca di originalità e per processi intellettuali che rispecchiano la volontà di fare più che solamente intrattenimento.

Chi è Radu Jude?

Sono nato nel 1977, durante il periodo più duro della dittatura comunista di Nikolae Ceauṣescu. Ho trascorso l’infanzia coi miei genitori, forse per quel motivo, nella campagna isolata vicino a Targoviste, una pianura con piccole colline tipica della Valacchia. È stata una bella infanzia in mezzo alla natura, in un villaggio povero ma pieno di vita e bellezza. Andavo a Bucarest per studiare, ho cominciato ad andare alla Cinemateca ed è cosi che ho sviluppato un interesse sempre più grande per il cinema ma anche per letteratura, storia, filosofia, come molti ragazzi credo. Ho provato a iscrivermi alla National film school ma sono stato rifiutato, quindi ho cominciato a lavorare come assistente alla regia, visti i molti film stranieri girati in Romania, americani ma non solo. Quindi ho lavorato, per vivere, per la tv e nel mondo della pubblicità. Allo stesso tempo ho cominciato a fare cortometraggi, poi lungometraggi. Ed eccomi qui.

Quali relazioni ci sono tra il suo cinema e la storia, soprattutto quella della Romania?

Non tutti i miei film sono legati alla storia in termini di passato, ma ho realizzato che facendo cinema tu crei un oggetto, una serie d’immagini, che diventano di conseguenza un oggetto storico. Quando faccio un film osservo il presente come se già fosse una storia, quindi i miei film parlano di tracce di storie e della relazione tra il presente, o i problemi del presente, col passato. Per esempio, il mio film ‘Aferim!’ affronta il problema della schiavitù dei gitani, perché c’è un grande razzismo strutturale in Romania e mi sono chiesto quali fossero le sue origini. Sono interessato alla relazione tra passato e presente come sono interessato ai luoghi oscuri della storia, non solo della Romania.

A volte sono stato accusato di non essere un patriota, ma penso che una società libera e matura dovrebbe accettare le critiche, o anche un discorso che non è per forza quello ufficiale. Sono interessato a fare film dalla mia prospettiva di rumeno: non sono ebreo o gipsy, faccio parte della maggioranza ma cerco di mettere in discussione parti di storia della mia comunità, della mia società. Non voglio fare un ritratto dei rumeni come vittime, anche se lo sono anche stati, perché ciò genera discorsi d’odio. Anche qui in Svizzera avviene: il documentario televisivo ‘La Suisse coffre fort d’Hitler’, per esempio, che parla della neutralità svizzera ribaltandola, svelando il coinvolgimento e l’aiuto ai nazisti, che andava contro il discorso ufficiale.

Qual è il suo approccio quando gira un film?

Per ogni film cerco un approccio che si adatti. Non ho uno stile, i miei film non sono uguali fra loro. Mi piace ricordare che Picasso diceva che "il più grande nemico di un pittore è lo stile". Alla base c’è sempre una metodologia diversa, un diverso punto di partenza e di sviluppo di un’idea cinematografica, mi chiedo sempre come un soggetto può diventare un film, perché non di tutto si può fare un film. Anche se alcuni elementi sono programmati, altri sono nebulosi, altri li scopro durante, altri in montaggio e altri ancora dopo averlo finito. Cerco sempre di mettere tutto allo stesso livello perché penso al cinema come a un intero, la storia non è più importante del personaggio, né del suono, né dei costumi, anche se sto attento al punto focale di ogni scena. Fiducia, pazienza, energia e un po’ di fortuna, ma è anche importante la struttura della storia, o come si decide di farla, la sua architettura.

Il suo ultimo film ‘Bad Luck Banging or Loony Porn’ si contraddistingue proprio per una struttura originale, con una parte centrale con citazioni, mentre il resto del film indaga sui limiti della pornografia: come è nata l’idea?

Credo nella possibilità delle citazioni, di cui Godard è il maestro. Quando gli chiesero perché mettesse così tante citazioni in un film, rispose che comunque non aveva fatto nemmeno le automobili, o la natura, o le persone presenti nei suoi film. Io credo nelle sue possibilità e ho salvato molte citazioni, aforismi, testi, immagini e, in circa dieci anni ho sviluppato quest’idea di dizionario che ho legato, a volte direttamente a volte in maniera più sottile, al tema centrale dell’oscenità, dei diversi tipi di volgarità che esistono. Filmando a Bucarest sono successe cose fuori dal nostro controllo davanti alla camera, come la signora che saluta guardando l’obiettivo dicendo una volgarità o altre cose avvenute nell’ambiente circostante, casuali, risultati del fatto che volevo inserirmi e osservare la società.

Nel cinema sperimentale non si è interessati allo storytelling e si cerca di destrutturare; penso sia bello trovare nuove strutture e modi di raccontare. Siamo abituati sempre più ad altri tipi di strutture, come Facebook o TikTok, magari alterando il nostro modo di percepire la sequenza d’immagini. Dunque forse ciò condizionerà il nostro modo di concepire il cinema, come il montaggio della seconda parte del film cerca di esplorare, oltre al fatto che il film offre tre scenari finali possibili.

Appuntamento dunque a ‘L’immagine e la parola’: cosa ci aspetta?

Cercando di offrire la mia esperienza, terrò un workshop sull’essere liberi e osare il più possibile, senza voler ovviamente imporre la mia idea a nessuno. Quindi incontrerò uno dei miei grandi eroi, un grande storico e pensatore, connesso in un qualche modo obliquamente col cinema, Carlo Ginzburg, avanzando quest’idea di connessione tra il cinema e la storia. Le persone pensano spesso al cinema solo come intrattenimento, io credo al cinema anche come strumento intellettuale per esplorare il mondo, guardarlo e capirlo, per capire meglio la realtà. Penso che Carlo Ginzburg possa rendere questo dialogo rilevante e chiaro.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE