Musica

Le ultime, geniali note di David Lindley

Polistrumentista, presenza fissa dell’intera carriera di Jackson Browne, session man per il gohta del songwriting statunitense, è morto all’età di 78 anni

David Lindley nel 1980 a Brisbane, in concerto con Ry Cooder
(Rob Bruce/Wikipedia)
5 marzo 2023
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"Sapeva suonare con incredibile versatilità ed espressività praticamente qualsiasi strumento gli mettessi davanti", scrive Graham Nash sulle sue pagine social, per ricordare il talento di David Lindley, polistrumentista morto all’età di 78 anni, tra i simboli del soft rock anni Settanta e Ottanta. La sua padronanza degli strumenti a corda, qualsiasi essi fossero, portò un giorno il magazine Acoustic Guitar a coniare per lui la definizione di maxistrumentista.

Session man richiestissimo, noto soprattutto per il lungo sodalizio con Jackson Browne, chitarre, violini, bouzouki, banjo, mandolini e altri strumenti di Lindley si ascoltano nei dischi (e nei concerti) del gotha del cantautorato statunitense, da Linda Ronstadt a Ry Cooder, da Bonnie Raitt a Warren Zevon, da Curtis Mayfield a Dolly Parton. Dei servigi di Lindley hanno goduto pure James Taylor nel suo ‘In the Pocket’ (1976), dieci anni prima Leonard Cohen nell’album di debutto, gli America dell’eponimo del 1971, il Dylan di ‘Under the Red Sky’ e ancora Springsteen (‘The Promise’), il Rod Stewart solista di metà Settanta, Shawn Colvin, Rickie Lee Jones e tanti altri.

Cresciuto a Los Angeles, David Lindley deve almeno un grazie alla collezione di folk coreano e sitar indiano del padre, i 78 giri che lo spingono a sposare prima il violino, poi l’ukulele e il banjo. Nel 1966 fonda i Kaleidoscope, nei quali rimane fino al 1970; allo loro scioglimento, vola a Londra dove suona nella band di Terry Reid. È del 1972 l’incontro con Jackson Browne, che più tardi, nel 1981, gli produrrà l’album ‘El Rayo-X’. Al Rolling Stone, una decina di anni fa, a proposito della sua collaborazione con Browne, Lindley dichiarò: "Ascoltavo la canzone, che è al centro di tutto. Se parlava di un amico di Jackson morto, allora pensavo a qualcosa di appropriato. Non suoni un assolo di Chuck Berry nel mezzo di ‘Song For Adam’ (brano, appunto, di Browne per il defunto amico Adam Saylor, ndr). L’assolo è una gran cosa, ma non in quel momento".

Prima di ‘Love Is Strange: En Vivo Con Tino’, album live del 2010 che documenta le date spagnole di un tour in duo (Independent Music Award per la migliore performance live su disco), Lindley compare in tutti i dischi di Jackson Browne dal 1973 al 1996, dunque da ‘For Everyman’ a ‘Looking East’, nei quali ha lasciato molti storici assoli: da quello in ‘Late For The Sky’, dall’omonimo album del 1974, a quello in ‘Running On Empty’, dall’omonimo album del 1977. Su questo disco, registrato dal vivo in ogni posto possibile, compreso il bus e le stanze d’albergo, nella celeberrima ‘Stay’ (classico del 1960 cui Browne regalò nuova vita) Lindley canta il divertente falsetto di uno dei ritornelli della canzone.

Sul suo sito ufficiale, Lindley aveva catalogato parte degli strumenti suonati o posseduti dagli anni Sessanta in avanti, ammettendo però di non avere alcuna idea di quanti, complessivamente, ne avesse suonati. Nel silenzio social di Jackson Browne, songwriters e gente delle sei corde sono invece generosi di tributi. Uno, in particolare, riassume l’importanza di David Lindley, artista virtuoso, geniale, simpatico. È a firma Joe Bonamassa, nato nell’anno di ‘Running on Empty’: "Ha cambiato le regole del gioco a tutti noi".

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