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La parodia per nulla ironica de ‘Il signore delle mosche’

Quest’anno sono trent’anni dalla morte di William Golding e quaranta dal Nobel per la letteratura, che senza il suo primo libro non ci sarebbe stato

William Golding, 1911-1993
(Keystone)

Quando parliamo di ‘Guerra e pace’, considerato romanzo storico, non diciamo "il romanzo storico è questo, è quello". Per altri generi sembra opportuno o doveroso spiegare partendo dal genere stesso. Con le distopie in particolare viene istintivo misurare cosa sono e cosa non sono, distinguere, se non altro a sé stessi mentre si legge.

‘Il signore delle mosche’ (1954) di William Golding nasce come parodia o lo diventa lungo la strada. Parodia per nulla ironica o sarcastica, a differenza del più delle altre. La storia di svolge su un’isola e la prima Utopia, quella di Thomas More che ha dato il nome a tutte le altre, è appunto il nome di un’isola. (Ambientiamo su isole il nostro immaginario futuro, fuggendo dove scarseggiano gli uomini? Ci auguriamo che il male diminuisca dove diminuiscono gli esseri umani, ma questo è già una sentenza. Su quella tale isola, cercheremo di fondare una comunità, gradualmente, fondandola sul bene... Ci accorgiamo che presto le cose si complicano, quando il sodalizio supera i tre elementi o i quattro.) Oltre questo, i lettori inglesi sanno bene che su ‘L’Isola di corallo’ (di R. M. Ballantyne), un secolo prima, altri bambini crearono una comunità in cui tutto va, vittorianamente, per il meglio. Ma Golding era stato ufficiale in una guerra, e Ballantyne aveva potuto creare la sua comunità felice senza il condizionamento di due guerre mondiali, senza Hiroshima e senza Nagasaki. Per terminare con i ‘senza’, così riferisce Claudio Gorlier un giudizio dello stesso Golding, da lui intervistato: "Senza le atrocità sistematiche e organizzate, senza la perversa efficienza tecnologica dei campi di sterminio nazisti (...) questo romanzo non sarebbe mai stato concepito".

Da un presupposto inverosimile – cade un aereo e si salvano solo i bambini, e tutti maschi – che nel giro di poche righe, per forza di scrittura, perde tutta la sua inverosimiglianza, Golding edifica la sua storia di piccoli che rifanno il mondo dal principio: le tende, il fuoco, la caccia. E il conflitto tra due capi, Ralph e Jack, prototipo dell’autoritario virtuoso l’uno, del dittatore l’altro; il dividersi della comunità tra i due; la religione primitiva fondata su un idolo, il ‘signore delle mosche’: una testa mozzata di maiale assediata dagli insetti. E così avanti fino al prevedibile o al fatale. Vale a dire fino alla prima vittima, poi alla seconda.

Golding costruisce la sua microstoria (su un microluogo, di microuomini) come un lento, matematico delirio, giustificato da almeno tre decenni di violenze universali. E sarebbe potuto arrivare più lontano, perfino. Addentrarsi, scendendo nel cuore umano dove risiede il male (non occorre una rigida educazione protestante, forse, per saperlo), in un buio più buio. Ma decide di chiudere con un colpo secco o con un taglio luminoso, straniante, ambiguo. Compare un uomo sulla spiaggia, ‘un grande’, e tutto sembra stato, per un istante, una visione collettiva o un gioco.

Torniamo agli inizi della storia. I bambini sono ebbri di libertà e insieme timorosi di restare lì abbandonati, Ralph li rassicura e rassicura se stesso: "Mio padre è nella marina. Diceva che non c’è più nessuna isola sconosciuta. Dice che la regina ha una grande stanza piena di carte con sopra tutte le isole del mondo. Dunque la regina ha una carta di quest’isola". Questa, che pare solo una timida rassicurazione, risulta una previsione. Davvero non c’era più un’isola sconosciuta e la regina le conosceva tutte. Ralph infatti continua e chiude così: "E presto o tardi una nave approderà qui. Potrebbe anche essere la nave del mio papà. Dunque vedete, presto o tardi, ci salveranno". "Presto o tardi" detto due volte e nella seconda il "tardi" ha un peso incalcolabile. La nave approderà in tempo per salvarli, non tutti, ma troppo tardi per salvarne l’innocenza. Quando l’ultimo atto sta per compiersi – l’uccisione del capo per eleggerne un altro – Ralph braccato e ormai perduto, fuggendo si ritrova sulla spiaggia dove vede quell’ufficiale di marina, che gli "sorrise allegramente". "Abbiamo visto il vostro fumo. Che cosa avete fatto? Una specie di guerra?"
"Ralph annuì".

William Golding (1911-1993) era stato poeta precoce – ‘Poems’, 1934 – e romanziere tardivo. Quando pubblica ‘Il signore delle mosche’ ha 43 anni, vent’anni dall’esordio poetico. E nei romanzi successivi indagherà, ossessivamente, gli stessi temi: una situazione sociale estrema, che fa saltare tutte le convenzioni imposte dalla ‘civiltà’; l’individuo in quella chiusa comunità e solo con se stesso, con i suoi istinti più oscuri; la lotta del bene con il male. Quest’anno sono i trent’anni dalla morte di Golding e i quaranta dal premio Nobel, che senza il suo primo libro, che generò tutti gli altri, non ci sarebbe stato. «Non mi è difficile credere in Dio – aveva confessato allo stesso Gorlier, in quell’intervista –, importante è che lui creda in me».

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