Berlinale

Gli U2 nella Sarajevo assediata, il rock contro la paura

‘Kiss The Future’ di Nenad Cicin-Sain svela come la band aveva raccolto le speranze della città in guerra. Troppo ego per Sean Penn in ‘Superpower’.

Il documentario è prodotto da Ben Affleck e Matt Damon
(Bill S. Carter/Not Us Ltd)

Mentre le nuvole scaricano pioggia dal cielo di Berlino e il vento le respinge per dar posto a un pallido sole, in una sfida altalenante, sulla Terra qui alla Berlinale si è consumato il primo fine settimana con un carico di film.

Su tutti si è alzato trionfante ‘Kiss the Future’ documentario nella sezione ‘Berlinale Special Gala’. Esplorazione dei pericoli del nazionalismo e del ruolo dell’arte come arma di resistenza e attivismo, il film diretto da Nenad Cicin-Sain (nato nell’ex Jugoslavia da madre serba e padre croato) nasce dall’idea di fare un film su ciò che i cittadini di Sarajevo, intrappolati dai serbi, hanno passato durante la guerra civile nell’ex Jugoslavia, e su come il concerto degli U2 sia servito a riunire le persone, senza più obbligate distinzioni di religione e razza. Il film è stato scritto da Bill Carter (nato nel 1966) scrittore e regista già noto per il documentario ‘Miss Sarajevo’ (montaggio di materiale video amatoriale girato durante il suo soggiorno nella città assediata di Sarajevo); autore pure di ‘Fools Rush In’ (le sue memorie di lavoro per un’agenzia di aiuti durante la guerra in Bosnia-Erzegovina) e di un bluff per ottenere un’intervista con Bono degli U2, durante l’assedio per parlare di Sarajevo. È un film che canta insieme alla morte nelle strade, le cantine piene di giovani, anziani; con tutti quelli che vivevano sotto i bombardamenti lì ad ascoltare il rock, unica risposta alla paura. La prima parte racconta di questa verità altra, catacombale, sorella di storie che si perdono nell’antichità di popoli offesi per precipitare nell’oggi in troppe parti del mondo. Poi lo schermo si riempie di Bono e dei suoi, del loro stare vicino a ragazzi e ragazze che a Sarajevo resistevano. Non era uno stare vicino a parole, bensì un coinvolgerli con strazianti collegamenti durante i concerti della band. Ed è un crescendo fino alla fine dei combattimenti, fino al concerto di Sarajevo il 23 settembre 1997. Come spiega il regista: "La guerra è un orrore. Non c’è dubbio. Ma c’è anche una straordinaria bellezza umana, che si manifesta in quei momenti". Il film è prodotto da Ben Affleck e Matt Damon, che hanno avuto il merito di lasciare con discrezione lo schermo a una storia emozionante e commovente, da rivedere e applaudire ancora.

Cosa che non ha saputo fare un altro documentario nella stessa sezione: ‘Superpower’ di Sean Penn dedicato alla guerra in Ucraina, conflitto che già da prima dell’invasione russa aveva seguito, trovandosi poi in mezzo agli eventi. Pur impegnato alla regia (insieme a Aaron Kaufman), Penn invade ogni minuto di film, di cui protagonista non è la guerra e neppure Volodymyr Zelensky, bensì il suo immenso ego. Peccato.

Penn non è però il solo con questo problema. Lo si è visto con ‘Laggiù qualcuno mi ama’, omaggio a Massimo Troisi firmato da Mario Martone. Oltre due ore di film, con imperdibili immagini dagli archivi che riguardano Troisi; ma al contempo una snervante presenza sullo schermo del regista. Martone si autocelebra e Troisi gli serve da piedistallo. E il documentario non è lo specchio di Biancaneve per potersi dire "sono il più bello".

Film in concorso

Si sono visti il franco/italiano ‘Disco Boy’ (scritto e diretto da Giacomo Abbruzzese), l’anglo statunitense ‘Manodrome’ (scritto e diretto da John Trengove) e ‘Past Lives’ (scritto e diretto da Celine Song). In tutta questa autorialità di pensiero ed esecuzione, ogni film ha mostrato di avere qualcosa da dire. Prendiamo ‘Manodrome’, destinato a un buon successo sul mercato, grazie al l’ossessivo ritmo della violenza anche sessuale e all’interpretazione sopra le righe di Jesse Eisenberg e Adrien Brody. Il film è una violenta descrizione della follia maschilista, in un mondo che cancella l’idea di poter coltivare un possibile rapporto con una donna, che non sia per scopare o figliare. La stessa violenza moltiplicata si respira nel disperato ‘Disco Boy’, che ha per protagonista, insieme al mondo in cui viviamo, l’offesa umanità della quale facciamo parte. Al centro della storia un migrante che viene dall’Est; è orfano e, nel tentativo di scappare, ha perso l’unico amico. Si arruola nella Legione Straniera nel Delta del Niger, inferno che nemmeno Dante avrebbe potuto immaginare, dove gli abitanti mangiano pesce avvelenato e bevono acqua inquinata. Tra i fumi dei pozzi di petrolio e quelli dell’industria petrolifera un uomo cerca di salvare il suo popolo, prendendo in ostaggio tre cittadini francesi impiegati nell’industria. Lo ucciderà proprio l’orfano migrante e legionario il quale, per capire la follia di ciò che ha fatto, scappa dal mondo e va a ballare con la moglie del morto, costretta a prostituirsi per i bianchi. Si resta arrabbiati per la franchezza di un racconto vero, toccante.

Cosa che non riesce a fare il fragile ‘Past Lives’, storia d’amore irrealizzabile tra un bambino e una bambina coreani, che sembrano destinati ad avere un futuro insieme, benedetto anche dalle famiglie prima che lei, con la famiglia, emigri prima in Canada e poi negli Stati Uniti. I due si ritrovano casualmente anni dopo su internet, imbastendo dialoghi di riconosciuto e riconoscente amore. Poi lei chiude questo rapporto a distanza, si sposa e fa carriera; lui incontra una donna, che in fondo non ama e che non sposa. Decide di andare a New York per vedere lei e porla nell’imbarazzo, tra un innamoramento da bambina e un marito che la ama. Film troppo lungo e con troppi momenti di noia. È un’opera d’esordio, certo, ma poteva essere curata meglio.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE