Cinema

Un dramma dal sapore agrodolce chiamato ‘Close’

L’amicizia raccontata attraverso una profonda delicatezza e un opprimente senso di colpa. Il film di Lukas Dhont, Grand Prix a Cannes, è in sala

Grand Prix della Giuria di Cannes del 2022
16 febbraio 2023
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Delicatezza è la parola chiave che permea e avvolge ‘Close’, Grand Prix della Giuria di Cannes del 2022 e secondo film di Lukas Dhont, che si riconferma essere, senza ombra di dubbio, tra i talentuosi giovani autori del cinema europeo contemporaneo.

Una profonda amicizia tra due tredicenni, Léo e Remy, candida e fraterna ma che, inevitabilmente, si scontra con la nostra società stigmatizzata e che in un qualche modo non può mantenere la propria genuina spensieratezza. Quel passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza segna sempre per tutti, purtroppo o per fortuna, l’abbandono della "naïveté": il contatto diventa progressivamente distacco, il gioco diventa violenza, la propria identità e intima personalità si disperde, nel tentativo di conformarsi agli altri, spesso anche solo per non sentirsi diversi oppure essere esclusi.

Causa scatenante è la convinzione di Léo di dover dimostrare agli altri la propria virilità, per non subire discriminazioni ed essere di conseguenza etichettato come omosessuale, comportamento che si contrappone al profondo amore che prova per il suo grande amico Remy. È proprio con le domande di alcune compagne di classe, dettate dalla loro curiosità più che da una sorta di malizia, che il protagonista decide di normalizzare il suo rapporto con l’amico, nel tentativo di non sembrare una coppia agli sguardi esterni. Questo quesito è estremamente puntuale e legittimo: le ragazze altro non fanno se non cercare d’indagare su un proposito che noi come spettatori vorremmo capire, perché tutti tendiamo a sessualizzare un rapporto che ci risulta in un qualche modo troppo fisico, troppo intimo. Dopo un idillio spensierato tra giochi, corse nei campi fioriti e giri in bicicletta, il giovane Léo abbraccia la propria volontà di cambiamento alla ricerca della propria mascolinità, attraverso dei tentativi d’inserimento sociale con i ragazzi della propria classe, allontanando così facendo Remy, con conseguenze tragiche. Tuttavia, l’assenza dell’amico è tutt’altro che invisibile e accantonata, il giovane dovrà imparare a colmare in un qualche modo il vuoto interiore che questo distacco forzato comporta. Ciò alimenta, oltre al fuoco delle emozioni che fatica a elaborare ed esternare, anche un particolare rapporto con la madre, Sophie, caratterizzato dalla volontà di comunicarle l’incomunicabile, cioè il proprio senso di responsabilità, contrapposto alla paura che il giovane prova quando la vede. Infatti, per molto tempo Léo la tiene a distanza, attuando un meccanismo di fuga, quindi trova il coraggio di avvicinarsi dopo aver realizzato la sofferenza che anch’essa sta provando in tutti i modi a reprimere.

Trionfo del non-detto

‘Close’ è pura vicinanza e fa del contatto ravvicinato con il volto degli attori, in primis Léo, il suo punto cardine stilistico e di linguaggio cinematografico, strizzando un occhio a tutto il precedente cinema belga e in particolare ricordando il cinema dei fratelli Dardenne. La macchina da presa di Dhont è estremamente precisa e dosata, si muove cercando di scrutare l’impenetrabilità del volto dello straordinario Eden Dambrine (Léo) e, come già esplorato nel suo film precedente, ‘Girl’, è evidente una grande conoscenza del mezzo cinematografico, soprattutto attraverso un uso splendido della camera a mano. Le piroette della danza in ‘Girl’ diventano qui dei veri e propri vortici, durante gli allenamenti di hockey di Léo, sport che serve al ragazzo per mostrare agli altri mascolinità e nascondere la propria delicatezza, sotto a uno spesso strato d’imbottitura e un casco metallico che lo protegge ma che, inevitabilmente, è anche la gabbia che lo imprigiona. Tuttavia, come il braccio rotto di Léo, così il lutto è sì un pesante trauma, ma soprattutto un lungo processo di elaborazione, riabilitazione e guarigione.

Un vero e proprio trionfo del non-detto in favore del fuori campo e dello sguardo, quindi degli occhi lucidi e del contatto amorevole, quello di un caldo abbraccio. Un film di una sensibilità unica e rara, in particolare considerando l’approccio alla trama, la soave colonna sonora, nonché la fotografia, che traccia e segue l’emozione dei personaggi con tinte dapprima colorate e che si spengono progressivamente seguendo l’emozione dei personaggi, interpretati in maniera davvero magistrale.

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