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Il trentennio aureo della chanson française

Tra le pagine de ‘Gli anni d’oro della canzone francese’ (Gremese), documentata ricognizione che copre il trentennio dal 1940 al 1970

10 marzo 2023
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1968, edizione un po’ informale del telegiornale della Rai: Giorgio Gaber affianca il conduttore Piero Angela per fare bonariamente le pulci ai cantanti in gara nel Festival di Sanremo appena concluso. All’ingegnere Pierre Antoine Muraccioli, meglio noto col secondo nome di battesimo, domanda come mai, avendo sfondato in Francia come cantautore impegnato, in Italia abbia preferito ritagliarsi un ruolo più frivolo, quasi da saltimbanco. È lo stesso Antoine che nell’edizione precedente ha ispirato la sincera ripugnanza di Ennio Flaiano: "Se la gioventù è questa, tenetevela. C’era un tale, per esempio, coi capelli alla bebè che sembrava protestare contro il fatto che malintenzionati gli tirassero delle pietre. Non si capiva perché si lamentasse tanto. Avrebbe voluto che gli tirassero delle bombe? Oppure? Che un tipo simile venga lapidato dovrebbe essere normale. È brutto, sporco e probabilmente velenoso".

Agli smaliziati telespettatori di oggi le marachelle di Antoine, che disturbava le coriste e il direttore d’orchestra, accennava passi di danza con una ballerina, saltellava e correva sul palco, si faceva tirare in alto tramite un gancio applicato al dorso della giacca, farebbero l’effetto di un lancio di coriandoli. Ma anche le alzate d’ingegno che hanno movimentato l’ultimo Sanremo sono poco più che sfoghi adolescenziali, patetiche manovre pubblicitarie, se le paragoniamo alla ben più potente trasgressività che innervava la chanson française quando la canzonetta italiana ancora santificava nella maternità la massima aspirazione femminile e commuoveva i padri di famiglia al ricordo di vecchi scarponi pronti, se necessario, a rimettersi in marcia. È infatti del 1950 la caustica ‘Monsieur Tout-Blanc’, dedicata da quel diavolo d’un Léo Ferré a Pio XII ("Vous enseignez la charité / bien ordonnée / dans vos châteaux en Italie"), una delle tante perle che siamo spinti a riscoprire dalla lettura de ‘Gli anni d’oro della canzone francese’ (ed. Gremese) di Giangilberto Monti e Vito Vita, documentata ricognizione che copre il trentennio dal 1940 al 1970. Sono gli stessi anni in cui Boris Vian, scottato dalle vicissitudini coniugali (la prima moglie, l’esuberante Michelle Léglise, lo aveva tradito con Sartre), raccomandava caldamente il nubilato alle giovani in età da marito: "Quando sono belli, sono imbecilli. Quando sono vecchi, sono orrendi. Quando sono alti, sono sfaticati. Quando sono piccoli, sono malvagi". Poco tempo dopo Serge Gainsbourg avrebbe imposto, tra calembours da enigmista e un’insolita versatilità musicale, il suo immaginario elegantemente maudit, che includeva erotismo, adulterio, amori di una notte, spleen e una discreta propensione al fumo e all’alcool.

Pionierismo

Dal libro non emerge però soltanto la differenza che in quel lasso di tempo separava il conservatorismo della musica leggera in lingua italiana (che faticava a deviare dalla consuetudine del tormento amoroso, relegando gli esperimenti del Cantacronache, con i testi di Calvino, Fortini, Rodari, Eco, a una nicchia di estimatori) dall’apertura francese a temi meno rassicuranti, che le chansons réalistes sapevano trarre osservando la realtà in modo sincero e disincantato, e poi filtrandola attraverso le parole di Prévert, Queneau e Sartre, la gestualità sfrontata di Catherine Sauvage, l’algida fierezza di Juliette Gréco, il frenetico eclettismo di Boris Vian ed anche, ad onta dell’incomprensione della critica, con l’allegria disperata di Charles Trenet. Il volume restituisce anche il sapore di un’epoca per certi versi pioneristica, ricostruendo certe ingenue e dilettantistiche strategie di marketing escogitate dagli addetti stampa delle case discografiche. Al borghese e ben istruito Michel Polnareff, prossimo a sfondare con ‘La poupée qui fait non’, inventarono un passato di beatnik senza famiglia, cresciuto per strada come il Gavroche de I miserabili e duramente provato dalla morte per droga di una fidanzata; al biondo Claude François, dedito alla cura maniacale della propria immagine come una vedette hollywoodiana, raccomandarono addirittura di mostrare in pubblico solo uno dei due figli avuti in due anni dalla modella Isabelle Forêt, per non offuscare la sua immagine di seduttore: una delle tante esagerazioni in una vita che François visse a una velocità folle, prima di morire per un banale incidente domestico, nel bagno di casa, fulminato da una scarica elettrica. Il suo nome, benché legato alla musica di consumo, merita di stare in questa divertente storia della musica francese, così ricca di aneddoti: come scrivono gli autori, "se, nonostante le maldicenze dell’ambiente e le voci benevole degli appassionati, Claude François lascia il ricordo di una folgorante vitalità scenica, una serie di numeri musicali da manuale e un pugno di canzoni indimenticabili, tra cui ‘Comme d’habitude’, forse un motivo ci sarà".

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