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Trenta brevi racconti di Giuseppe Curonici

È nelle librerie ‘La donna che parlava lentamente’ (Interlinea), storie di quotidianità nelle quali è facile ritrovarsi.

Giuseppe Curonici
(Ti-Press)
1 febbraio 2023
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Su Giuseppe Curonici, poco noto ai giovanissimi per motivi anagrafici, ci sarebbe molto da dire: filosofo, insegnante, giornalista e critico d’arte, autore di numerosi saggi culturali su noti artisti contemporanei, membro della Corsi e della giuria del premio Chiara, per molti anni direttore della Biblioteca Cantonale e dell’Archivio Prezzolini. Ha anche condotto studi approfonditi nel campo della composizione musicale, nel mondo letterario ha esordito invece piuttosto tardi. I suoi romanzi prendono vita nel mondo dell’arte che ha sempre frequentato, dei protagonisti si narrano ambienti, vicissitudini, lotte, mondo interiore: ‘L’interruzione del Parsifal dopo il primo atto’, premio Bagutta opera prima (con nota di Cesare Segre) tradotto in Francia, del 2002, è la sofferta indimenticabile storia di un ex direttore d’orchestra, bambino prodigio divenuto celebre che si perde nella follia. In ‘Nell’isola distante’, del 2004, si racconta la resistenza vincente di un pittore che si rifiuta di ritrarre un personaggio ambiguo lottando per l’integrità morale della sua arte e il trionfo della verità, in ‘L’incendio della montagna blu, il quadro perduto di Cèzanne’, del 2012, la trama ricorda quella di un giallo, la ricerca di un capolavoro d’arte inspiegabilmente scomparso si lega a un’inafferrabile, enigmatica e sfuggente personalità femminile. In ‘Fine precoce del giovane D.S.’ (Dadò) i tragici fantasmi dell’antisemitismo e le forze del male perdurano nella contemporaneità, immutati dalle origini. Di Curonici esiste pure una raccolta poetica del 2006, ‘La maschera di Edipo re’ (Alla Chiara fonte).

Flash

È da poco in libreria l’ultimo libro ‘La donna che parlava lentamente’, edito come i precedenti romanzi da Interlinea. Si tratta di trenta brevi racconti che respirano il presente in storie del vivere quotidiano dove è facile identificarsi, problemi familiari, amori difficili, vicissitudini varie, viaggi, spostamenti o scomparse si intrecciano nelle reti di un tessuto sociale sempre più complesso, condizionate da contesti istituzionali preesistenti. Brevi brani in corsivo, come dei flash, intercalano ogni racconto, sono surreali immagini di sogno, intuizioni psicologiche o metafore del profondo, prive di sviluppo narrativo e analisi, in "Una desolata stazione di campagna", al di là di ogni dimensione di spazio e tempo, due figure femminili dalle inquietanti drammatiche storie si incontrano e dialogano in una sala d’aspetto. La scrittura di Curonici è essenziale ed estremamente concisa, sequenze brevi e salti temporali improvvisi evidenziano la raggiunta maturità e la potenza descrittiva tipica del vero scrittore, quando illustrando una situazione tace su tutto ma sceglie quel dettaglio minimo, apparentemente insignificante, l’unico e il solo che restituisce un ambiente.

Non si può, leggendo questi racconti, non pensare a Zygmunt Bauman e alla sua definizione di modernità liquida, alle sue analisi sul dissolvimento del concetto di comunità dove solo cambiamento e incertezza permangono, ma possiamo anche riandare alla fenomenologia di Husserl, che porge attenzione unicamente a "ciò che appare". È infatti da un punto di vista esterno e impersonale che l’autore riferisce dialoghi, luoghi, ambienti, pensieri, ma non si tratta mai di intimismo e introspezione. Si evidenzia che più del carattere dei personaggi e delle loro vicende, a determinare ogni cosa è il loro percepirsi e la loro possibilità di conoscersi, questa condizione mai esplicitata, ma sempre presente è la causa prima dell’evolversi di ogni vicenda. È questo l’inedito, sorprendente messaggio contenuto nei racconti, che pongono l’accento su questa dimensione nascosta, faticosamente percepita ma assolutamente condizionante. In essi affiora il desiderio di una comunità condivisa da tutti della quale è avvertita l’assenza: "Le persone se ne vanno, partono attratte o sospinte da qualcosa, spariscono, cambiano luogo...". Troviamo allora figure irrisolte, incerte o divise, dove tutto è determinato da ciò che veniamo a sapere, o a non sapere, dell’Altro. In questa frammentazione i personaggi vivono, dialogano, intessono reti di relazioni, incontri o inevitabili scontri li svelano vicinissimi e nel contempo estremamente lontani, partecipi solo del nostro spazio con stupore li vediamo; manifestano identità a noi sconosciute in un mondo che sembrava condivisibile, l’Altro, che ci appariva totalmente simile e omologato si fa incomprensibile. Ma tutto è sempre legato a ciò che di questo "altro" riusciamo a percepire, conoscere, comprendere, sapere. Dai racconti ricaviamo la consapevolezza di questo processo mai sufficientemente compreso, che sfugge e che passa inosservato. Abbiamo posto qualche domanda a Curonici:

Lei scrive che "il secondo millennio si è applicato molto alle scienze della natura fisica, alle cose che esistono là fuori. Non fuori del pensiero o fuori della civiltà, solo fuori dell’io individuale, quello dell’esperienza di tutti i giorni". Cosa intende?

Uno dei compiti della nuova epoca, nella vita privata e nella politica, è diffondere l’autocritica, l’autocoscienza, è questo il grande, fondamentale problema che ancora non trova ascolto nell’opinione pubblica, l’abitudine all’autocritica sfugge.

Dipende da orgoglio, ego, volontà di potere?

Io uso volentieri il termine di volontà di potenza, che è la volontà individuale di affermarsi che poi si moltiplica, si fa collettiva, per esempio in un partito politico come il nazismo. Uno psichiatra mi diceva che i problemi che una persona vive come assolutamente unici sono in realtà pochi e sempre gli stessi, ma con tracotanza vengono ritenuti esclusivi.

Che cosa inclina gli esseri umani verso il male?

Sant’Agostino alla fine del 6° capitolo del 2° libro delle Confessioni scrive: "All’inizio della volontà di fare il male vi è una tenebrosa somiglianza con l’onnipotenza divina", anticipando con un’intuizione formidabile spiegazioni che 1’500 anni dopo troviamo in Nietzsche, o nella psicoanalisi, o in queste menti eccelse della filosofia moderna.

L’ammissione pubblica di essere in errore può risultare umiliante, non essere molto accettata...

È soltanto nel cristianesimo che l’errore può essere ogni volta accolto, essere ogni volta sempre perdonato, ma questa risposta vale solo per chi crede.

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