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Mariateresa Vacalli, lavoro e passione

Lo ‘stampino ETH’, tanto lavoro e impegno, nessuna paura dei rischi: bellinzonese, è membro di Consiglio d’amministrazione in diverse aziende

‘Ciò che mi appaga è la sensazione di immergermi in un mondo totalmente nuovo, annaspare per un po’ sul fondo ed essere poi in grado di tornare in superficie con le mie forze’
10 gennaio 2023
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Oggi chiacchieriamo con Mariateresa Vacalli, classe 1971, di Bellinzona, che attualmente svolge la professione di membro di consiglio d’amministrazione in diverse aziende. Laureatasi in Ingegneria di gestione aziendale e produzione al Politecnico federale di Zurigo nel 1998, ha in seguito lavorato come manager presso la PricewaterhouseCoopers e altre aziende a Zurigo. Nel 2002 la sua carriera è decollata con la nomina a direttrice di Cablecom. Nel 2008 è passata alla Sunrise in qualità di direttrice esecutiva. Nel 2016 è stata nominata CEO di Moneyhouse e nel 2018 Chief Digital Officer della Basler Kantonalbank. Dal 2019 al 2022 è infine stata CEO della Banca Cler.

Quali erano i suoi sogni da bambina e da ragazza?

Sono sempre stata molto curiosa e sognavo di diventare una scienziata o un’inventrice. Per questo ho studiato al Politenico, perché ero affascinata dalla matematica e dalla fisica. Anche se poi non ho realizzato appieno questo mio desiderio, sono rimasta una persona curiosa e aperta al mondo.

Perché ha scelto proprio Ingegneria?

Entrare al Politecnico era il mio obiettivo e ho dovuto sudare per conquistarlo. Avendo la maturità della Scuola cantonale di commercio (che non dava accesso alle università federali) ho dovuto superare un esame piuttosto difficile. Una volta iscritta, pensavo di fare Matematica e Fisica, ma quasi subito mi sono resa conto che quell’ambiente non faceva per me e ho optato per la facoltà d’Ingegneria con indirizzo elettrotecnico. Ho infine scelto la specializzazione in Gestione aziendale e produzione, perché mi dava la possibilità d’imparare a condurre un’impresa.

Ha studiato al Politecnico, un ateneo dove, 30 anni fa, la cultura dominante era maschile. Com’è stata la sua esperienza?

Quando ho iniziato, nella mia facoltà c’erano duecento studenti maschi e solo quattro studentesse femmine. Ciò significa che per sopravvivere in quell’ambiente tutto al maschile – anche oggigiorno in Ingegneria e Informatica le cose non sono cambiate molto – ho dovuto per forza adattarmi. Per esempio adeguando il mio modo di vestire, per non essere accusata di volermi ingraziare i professori. Una volta che ho capito come uniformarmi le cose sono andate bene, anche in seguito, durante la mia carriera professionale.

Dopo l’università ha subito iniziato a lavorare come manager...

Sì, grazie al mio studio in Elettrotecnica prima e in Ingegneria dopo ero pronta a entrare in aziende di produzione: mi è sempre interessato il collegamento tra il secondario e il terziario. Il mio motto è: "Vendo tecnologia perché la capisco". Per questo mi ha dato grande soddisfazione lavorare per aziende come la Cablecom o la Sunrise, dove potevo mettere in pratica il mio know-how. Prima di assumere compiti dirigenziali ho però fatto la gavetta come consulente: mi recavo presso aziende in tutta Europa – dai sottomarini a Kiel agli elicotteri a Napoli – per ottimizzare i processi di produzione e di logistica.

La sua è stata una carriera rapida e in ripida salita. Che strategie ha usato?

Sicuramente lo "stampino ETH" mi è stato di grande aiuto, poiché è una scuola difficile, indice di un’ottima preparazione. Non sarei però riuscita a fare carriera se non avessi lavorato tanto. Mi è sempre piaciuto lavorare, impegnarmi, capire quel che faccio. Mi piace anche prendermi responsabilità. Non aspetto che qualcuno mi dica "potresti fare questo": io vado e dico "dallo a me, faccio io". Agisco in modo proattivo, individuo i problemi e cerco di risolverli. Non ho nemmeno paura ad assumermi rischi. Negli anni ho accumulato successi, ma mi è anche capitato di fallire. Ciononostante ho continuato perché il lavoro mi appassiona.

Che ostacoli ha dovuto superare in quanto donna? Che consigli darebbe a una donna alle prime armi che vuole fare carriera?

C’è una grande differenza nel modo in cui gli uomini e le donne fanno carriera. A un uomo generalmente viene data fiducia e poi deve dimostrare di essersela guadagnata. Una donna per ottenere la stessa fiducia deve invece dimostrare prima le proprie capacità. Ho osservato questo fenomeno a ogni livello gerarchico e in ogni situazione. Alle donne che vogliono intraprendere un percorso lavorativo consiglio di accettare questo dato di fatto e di agire di conseguenza, senza lamentarsi di ciò che non si può cambiare. Dimostrare il proprio valore e poi avere il coraggio di andare a prendersi le ricompense. È questo che una giovane donna in carriera deve fare. Un altro aspetto sul quale è necessario puntare è il networking, la creazione di una rete di persone amiche all’interno e al di fuori dell’azienda. Conoscere e farsi conoscere è essenziale per andare avanti. Io aiuto chi si rivolge a me. In questo modo, aiutando e venendo aiutati, ci si supporta e si procede insieme. Purtroppo spesso le donne chiedono poco e danno anche poco. In questo aspetto hanno molto da imparare dagli uomini.

Cosa pensa dei giovani che non vogliono più fare carriera, ma si accontentano di produrre il minimo per dedicarsi a sé stessi?

Nell’industria dove sono stata io i giovani di solito non sono svogliati o poco motivati, ma piuttosto critici: vogliono capire il senso di quello che fanno. Al contrario della mia generazione, che era più fissata sui risultati, oggigiorno le nuove leve cercano risposte sui contenuti, il che è senz’altro qualcosa di positivo. Trovo invece problematico chi sceglie di far carriera ma non è pronto a prendersi le proprie responsabilità: aspetta gli ordini e quando li riceve si lamenta perché avrebbe preferito agire in modo diverso. Se si vuole salire nella scala gerarchica bisogna prendere iniziative e pensare con la propria testa. Non si può pretendere di tornare a casa alle cinque ogni sera. Se si vuole un salario da senior non ci si può comportare da junior.

Quali sono gli aspetti positivi della digitalizzazione nella nostra società e quali quelli negativi?

Innanzitutto bisogna premettere che la digitalizzazione non la si può bloccare. È come l’elettricità: una volta scoperta non si è più tornati indietro all’olio e al carbone. La tecnologia ci aiuta a fare le cose in modo più veloce, più efficiente, più corretto e a trovare nuove vie. E non è vero che la digitalizzazione distrugge posti di lavoro: basta guardare al crescente bisogno di informatici. Allo stesso tempo è vero che nei periodi di transizione alcune categorie professionali possono sparire creando situazioni difficili. In questi casi bisogna fare attenzione a non lasciare indietro intere classi di persone che, per mancanza di conoscenze, non riescono più a essere produttive né a usufruire delle nuove tecnologie.

Il lavoro da casa: vantaggi e svantaggi.

Che il lavoro da casa possa funzionare in modo ottimo l’ho sperimentato sulla mia pelle quando, poco dopo aver assunto il ruolo di CEO della Banca CLER, è scoppiata la pandemia. Da un giorno all’altro abbiamo dovuto mandare a casa tutti i collaboratori… e la banca ha continuato a funzionare comunque, senza intoppi! Grazie al processo di digitalizzazione che si era concluso alla fine del 2019 – nell’ambito del quale, fra le altre cose, erano stati introdotti i computer portatili per tutti – abbiamo affrontato la crisi nel migliore dei modi, scoprendo che alcune cose che prima sembravano impossibili, per esempio le consulenze video, improvvisamente erano diventate fattibili. È stato un periodo folle, in cui ci siamo dovuti adattare alla situazione giorno per giorno, ma anche un’occasione preziosa per imparare ed evolverci. Certo, con l’andar del tempo non vedere più i colleghi di persona, non poter più fare una pausa o bere un caffè insieme, ha creato una certa stanchezza. Eppure è stata un’esperienza arricchente. Oggi la banca offre, nel limite del fattibile, la possibilità di lavorare da casa al 50%.

Ora lei si definisce "membro di consiglio d’amministrazione professionista". Quali sono i suoi compiti?

I membri di un consiglio d’amministrazione svolgono vari compiti. Il primo è quello di sorveglianza suprema sulla direzione d’azienda nell’ambito dell’osservanza delle leggi, degli statuti, dei regolamenti e delle direttive; altri sono la nomina della direzione o la definizione della strategia in collaborazione con la direzione operativa. Per il mandato che ho per La posta ad esempio leggo centinaia di pagine di rapporti, incontro i colleghi una ventina di volte all’anno e con loro discuto le misure da intraprendere. Far parte di vari consigli d’amministrazione è stimolante perché permette di conoscere in contemporanea tante realtà diverse.

Cosa le dà maggior soddisfazione nel suo lavoro?

Ciò che mi appaga è la sensazione di immergermi in un mondo totalmente nuovo, annaspare per un po’ sul fondo ed essere poi in grado di tornare in superficie con le mie forze. Per me è inoltre importante vedere i risultati tangibili di ciò che faccio e raggiungere gli obiettivi in un team di collaboratori affiatati.

Ha l’impressione che la sua diversa lingua e cultura le abbiano impedito di raggiungere certi obiettivi?

Studiare e lavorare in una lingua diversa dalla propria è sempre faticoso perché equivale a dover fare uno sforzo in più. E ogni volta che si cambia settore ci sono termini nuovi da imparare. Bisogna inoltre adattare il proprio modo di comunicare alla cultura vigente. Nel mondo italofono è normale interrompersi a vicenda durante una conversazione. Nella Svizzera tedesca questa abitudine è invece vista come un piccolo affronto: ognuno parla finché ha finito, non ci si interrompe. Bisogna insomma tener conto di queste differenze culturali.

Qual è la lezione più importante che ha imparato dalla sua vita a nord delle Alpi?

C’è qualcosa che apprezzo molto della Svizzera tedesca: qui puoi iniziare una carriera in base alle tue competenze indipendentemente dalle tue conoscenze.

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