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Osi al Lac tra il Danubio e il Reno

Robert Trevino preciso ed elegante; Bomsori tecnicamente sbalorditiva; Orchestra della Svizzera italiana che lascia esterrefatti.

Visti e ascoltati giovedì scorso
(©Osi - Luca Sangiorgi)
18 dicembre 2022
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Il concerto di giovedì scorso, diretto dal nordamericano Robert Trevino con la sudcoreana Bomsori Kim solista di violino, ha sforato di mezz’ora la durata consueta di due ore, legata anche alla diretta radiofonica, eppure alla fine un pubblico ammaliato è sembrato lasciare a malincuore la Sala. Erano in programma opere che spaziavano su 170 anni di storia della musica; di György Ligeti ‘Melodien’ (1971); di Ludwig van Beethoven il Concerto per violino (1806); di Charles Edward Ives ‘Three Places in New England’ (1914); di Robert Schumann la Sinfonia n. 3 (1850).

‘Melodien’ è un brano per piccola orchestra di appena dieci minuti, una fitta rete di frammenti melodici apparentemente non legati fra loro, che creano campi armonici percepibili con un ascolto molto attento. Se un ascoltatore di cultura italiana temesse di non riconoscervi melodie popolari mitteleuropee si consoli pensando a Dante, alla selva del tredicesimo Canto dell’Inferno: "Non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti, non pomi v’eran, ma stecchi con tosco".

Il Concerto per violino di Beethoven rappresenta per la musica sinfonica tedesca un momento significativo dell’irruzione del romanticismo nel classicismo, come per la letteratura italiana I Sepolcri di Foscolo: due opere che sono anche state terminate nello stesso anno. Ricordo l’intrigante primo ascolto dal vivo del capolavoro beethoveniano più di settant’anni fa, nella palestra di Ascona, dov’erano confinate le prime Settimane Musicali: Carl Schuricht dirigeva la nostra Orchestra e solista era Jehudi Menuhin. Poco dopo avevo acquistato il disco: la storica interpretazione di Menuhin con la direzione di Furtwängler, un LP adesso consumato e quasi inascoltabile, ma per me un termine fisso di confronto per le molte interpretazioni ascoltate dopo, un piacere ineffabile per le linee melodiche che nell’Allegro pulsano al ritmo dei quattro colpi di timpano iniziali, per l’insostenibile leggerezza del Larghetto, per il buon umore del Rondò.

Bomsori ha esibito una sicurezza tecnica sbalorditiva, non ha probabilmente sbagliato una nota. La perfetta adesione del suo arco alle corde ha forse tolto un po’ di trasparenza al suono e sottolineato troppo le appoggiature. Trevino, forse per contrastare l’esuberanza del violino solista, ha chiesto momenti d’insolito cipiglio dinamico, perfettamente eseguiti dall’Orchestra. Bomsori ha poi concesso come bis una Sarabanda di Bach, che quasi non ho riconosciuto. Forse era un Bach filtrato da una cultura orientale.

Le ‘Tre Piazze’ di Ives sono un momento significativo per l’avanguardia musicale d’inizio Novecento, una musica a programma in tre tempi che narrano episodi importanti della vita e della storia degli Stati Uniti. Nel primo ci sono marce lente che evocano spostamenti di truppe durante la Guerra di Secessione; nel secondo bande musicali che danno il tono a feste di paese; nel terzo canti religiosi che risuonano nelle chiese il 4 luglio, giorno della festa nazionale. Poteva forse essere un momento di ascolto facile, ma la raffinata lettura di Trevino l’ha reso di grande impegno.

Il Concerto di Beethoven ebbe la prima esecuzione a Vienna, la Terza Sinfonia di Schumann a Düsseldorf. Si può quindi dire che il programma si estendeva tra il Danubio e il Reno: un percorso iniziato bene e finito benissimo. L’esecuzione della Sinfonia, che è detta ‘Renana’ perché evoca episodi di vita sulle rive del grande fiume, è stata di quelle che cancellano gli ascolti precedenti. L’Orchestra della Svizzera italiana ha raggiunto livelli interpretativi che lasciano esterrefatti. Robert Trevino si è confermato direttore capace di leggere ogni dettaglio della partitura in modo affatto personale, con una tempestività e una precisione degli inviti a ogni parte dell’orchestra perfetta, un’eleganza essenziale dei gesti assoluta.


©Osi - Luca Sangiorgi

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