Poesia

Massimo Daviddi e la lirica della spogliazione

La vita come ricerca di complessità semplice che si rispecchia nel fare poesia. A colloquio con l’autore della nuova raccolta ‘Il volto di Pasolini’.

Massimo Daviddi e la sua nuova raccolta di poesie
(sto)
2 novembre 2022
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"Da qui guardo il mondo, esco ed entro, sospendo ogni/ pensiero e chiedo anch’io una grazia./ Cosa vorresti, dice/ l’anima? Come ti senti oggi che invecchi e la paura ti/ schiaccia?". Le poche righe, a parere di chi scrive significative, sono tratte da ‘Il volto di Pasolini’ (La Vita Felice, 2022), recente raccolta lirica di Massimo Daviddi. Pubblicazione che ci dà l’occasione di incontrare il suo autore, che da anni scrive anche per il nostro giornale: i suoi ‘Microcosmi’ sono diventati un immancabile appuntamento nell’edizione del sabato. Ma la tensione alla scrittura, non solo lirica, è ben più radicata nel tempo, come ha avuto modo di raccontare Massimo, in una tarda mattinata d’ottobre, sul bordo di un tavolino da bar.

Messa a fuoco

Nato a Firenze a metà anni Cinquanta, parte della sua vita l’ha vissuta fra Milano e Luino, mentre da tempo risiede in Ticino. Nel capoluogo lombardo, Daviddi ha studiato scienze politiche, si è quindi laureato a Urbino in sociologia, con una tesi sugli aspetti culturali e sociali della morte nella contemporaneità. ‘Il volto di Pasolini’ – procediamo spicci – è la quinta silloge, andando a ritroso si ricordano: ‘Madre Assenza’ (La Vita Felice, 2017); ‘Il silenzio degli operai’ (La Vita Felice, 2012) per cui gli viene assegnato il Premio federale di letteratura dieci anni fa; ‘L’oblio sotto la pianta’ (Edizioni Casagrande, 2005); la prima raccolta l’ha pubblicata nel 2000 ‘Zoo Persone’ (Edizioni Ulivo). Negli anni l’autore ha preso parte alle Giornate letterarie di Soletta, così come al Festival internazionale della poesia di San Benedetto del Tronto, fra gli altri.

La nuova silloge, con prefazione del poeta meneghino Tiziano Rossi, si compone di sei sezioni (Scorci; Ogni specie si estingue; Ex Voto - Santuario del Santissimo Crocifisso dell’Annunciata, Como; Ex Voto - Santuario della Madonna del Sangue, Re; Spogliazione; Lido) e di settantaquattro prose liriche fulminee, del peso di una manciata di righe, con "frasi scorciate" – scrive Rossi – per una prosa sempre più asciutta, fatta di molte domande «che cercano di ricostruire delle vite, delle scene di vita», definisce Daviddi. A muovere il poeta all’osservazione (anche contemplativa) e alla registrazione di quanto gli passa davanti agli occhi sono la quotidianità fatta di gesti semplici, oggetti estremamente ordinari, ma soprattutto è l’essere umano – a volte sconosciuto, a volte conosciuto: in presenza o in assenza – che in queste costanti vive, soffre, muore. Una vicenda umana fotografata in scorci intimi e fors’anche dimenticati. L’autore della prefazione parla di "messa a fuoco" e la similitudine ci pare calzante. Un libro "della maturità" (parole ancora di Rossi) dove "il non detto svolge qui un ruolo importante, producendo talvolta momenti criptici" laddove subentra l’impossibilità di esprimersi a parole, ovvero "quando la commozione vince e stringe la gola o quando la verità risulta inafferrabile".

Distacco, spogliazione, Pasolini

«Questo, però, è anche un libro sui distacchi. Ho vissuto di distacchi sin dai primissimi anni della mia vita. A vent’anni mi ero distaccato dalla mia città (Milano; ndr), dai miei genitori che non c’erano più, dagli amici con cui giocavo al campetto di piazzale Brescia con la maglietta nerazzurra, che si saranno chiesti che fine avesse fatto quel ragazzino che giocava così bene. Negli ultimi anni mi è capitato di perdere amici carissimi, che hanno fatto parte della mia vita, e quindi ora mi sento più solo».

Ai continui distacchi di cui si compone la vita e anche quest’opera, procede di pari passo una tensione alla spogliazione: «Al pensiero che la propria vita debba cercare un’essenzialità, anzi una complessità semplice che possa portare a un orizzonte di senso verso sé stessi, per quella che è stata la propria storia e cosa racconta ancora», illustra il poeta. Una sottrazione che coinvolge altresì l’attitudine all’osservazione che si fa acuta: la spogliazione «amplifica e potenzia lo sguardo».

In questa dimensione si inserisce la figura di Pier Paolo Pasolini, in cui è cristallizzato questo processo in levare. Al poeta di Casarsa, di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla nascita, è dedicato – eloquentemente – il titolo della raccolta. «L’ultimo testo della sezione ‘Spogliazione’ è anche dedicato a lui» al suo "volto fatto d’ossa", «emaciato, con gli occhi che facevano prevedere una disperazione, concretizzatasi nella sua morte. La sua essenzialità diventa allora un metro di misura del proprio cammino, la sua è stata una spogliazione di senso compiuto», rileva Daviddi, estimatore dell’autore degli ‘Scritti corsari’.

La scrittura, gli incontri

La scrittura è un pezzo di strada, procedendo ci si alleggerisce del superfluo e si fanno scelte che determinano la propria direzione. Una strada fatta anche di incontri che possono fungere da vere e proprie bussole. Come è cominciata per Massimo Daviddi? «Ho scritto sempre; soprattutto su riviste culturali tra gli anni Ottanta e Novanta. Temi legati ai miei studi di filosofia della politica. Poi, occupandomi di formazione degli adulti per circa trent’anni, saggi e contributi vari». La poesia «prende forma nel ’92, in modo spontaneo. Si sa come vanno le cose, un foglio, dieci, venti». A quell’epoca, «lavoravo a un progetto europeo, accanto a me la filosofa Eleonora Fiorani, allieva di Ludovico Geymonat e compagna di Francesco Leonetti, poeta e critico letterario che ha fondato ‘Officina’ insieme a Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi», racconta. A lei, Massimo aveva parlato «di questi fogli; mi ha detto di darli a Francesco per una lettura. L’ho fatto, con un po’ di timore. Tengo ancora nell’armadio la sua lettera che mi incoraggiava a proseguire».

Negli anni a seguire, sono ancora gli incontri decisivi a far incedere nella poesia: Fabio Pusterla («che ha sostenuto la mia prima pubblicazione»), Giovanni Orelli, di cui «conservo molte sue lettere, direi lettere minute che mi scriveva. Ci siamo incontrati molte volte a Lugano, al caffè Florean. Sono amico e ho stima di Tommaso Soldini, che in anteprima mi ha sempre inviato i suoi lavori». E ancora il rapporto allacciato con Maurizio Cucchi, che aveva scritto «una recensione sulla rubrica di poesia del quotidiano ‘la Stampa’. Era per ‘L’oblio sotto la pianta’, poi finalista al Viareggio», ricorda. «Ci siamo conosciuti, abbiamo percorso molte vie di Milano, fino alle cascine dell’ultima periferia, parlando di tutto. Politica, calcio, pubblicazioni. Questo è il rapporto che ho vissuto anche con Giampiero Neri e Tiziano Rossi». E poi conclude: «Non amo recinti, orti chiusi, piuttosto la libertà che una passeggiata offre, così come un pranzo in una buona trattoria».

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