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‘Mio amatissimo fratello…’, le lettere di Willy Schwarz

Lucido, dolente diario sulla vita quotidiana e sui bombardamenti di Milano, pubblicato da Casagrande con la curatela del giornalista Sandro Gerbi

Febbraio 1946, le rovine di Milano
27 ottobre 2022
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Immergersi nella lettura di un epistolario ha qualcosa di ladresco. In fondo è un po’ come intrufolarsi in casa d’altri, rovistare tra i cassetti e accomodarsi sul divano indossando le loro pantofole. Questo perché in realtà non dovremmo esistere in ciò che leggiamo, quelle parole non sono state scritte pensando a un generico e ipotetico lettore bensì a una persona specifica, in carne e ossa. E noi che ce ne appropriamo ci infiliamo, non visti, in un’intimità che non ci appartiene, sbirciando dal buco di una serratura le vite degli altri, mentre tentiamo di scassinare la porta per entrare a farne parte. Eppure le lettere scritte da Willy Schwarz dal titolo ‘Mio amatissimo fratello... Fuga da Milano (1943-1945)’, appena pubblicate dalle edizioni Casagrande con la curatela del giornalista Sandro Gerbi, sembrano rappresentare un’eccezione.

Prima di ogni altra cosa, si percepisce infatti l’urgenza dell’autore di raccontare nel modo più lucido, razionale e oggettivo possibile, cosa stesse accadendo a lui e a tutti gli altri concittadini italiani di origine ebraica dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando la Wehrmacht invase l’Italia iniziando una vera e propria caccia all’uomo.

Sangue

Schwarz scrive al fratello Franco – rifugiatosi negli Usa dal 1940 per sfuggire alle leggi razziali italiane – con la consapevolezza che le sue lunghe missive sarebbero giunte a destinazione dopo lungo tempo a causa dell’interruzione dei servizi postali e con il timore che quelle parole avrebbero potuto forse rappresentare l’ultima testimonianza vivente del suo autore.

Ci troviamo di fronte – come afferma Sandro Gerbi – a una sorta di lucido e dolente diario, con dettagli poco conosciuti sulla vita quotidiana e sui bombardamenti di Milano, sulle difficoltà di lavoro per professionisti "di razza ebraica" come il pediatra Willy Schwarz, sullo sfollamento dalla metropoli. C’è una vasta bibliografia sull’argomento, ma queste lettere meritano un occhio di riguardo perché riportano la vicenda di una persona di origine ebraica perseguitata per il suo "sangue", nonostante la conversione al Cristianesimo e l’adesione al pensiero dell’antroposofo austriaco Rudolf Steiner.

Le vicende personali, tra cui il suicidio del padre a seguito del fallito tentativo di fuggire in Svizzera, sono scandite e determinate dagli avvenimenti pubblici: è poco il tempo a disposizione per il dolore e per il lutto. Fondamentale è mettere in salvo la famiglia, fuggire, nascondersi il più a lungo possibile e dare notizie dei propri spostamenti a un parente lontano, sicuramente angosciato per la situazione dei propri cari. Nelle parole di Schwarz convivono armonicamente partecipazione emotiva e dovere di cronaca. C’è indubbiamente confidenza, affetto, ma forse poca intimità. Come se, in fondo, l’autore sapesse che i lettori sarebbero stati molteplici – pensando anche, banalmente, alle tante mani da cui sarebbero passate le lettere prima di giungere a destinazione – e che le sue cronache avrebbero rappresentato una sorta di atto politico contro la censura e i tentativi d’insabbiamento della realtà.

Memoria

Moltissimi anni fa – racconta la figlia Susanna, fautrice del libro insieme a Sandro Gerbi – visitai in Michigan alcuni cugini (figli del fratello di mio padre, Franco Schwarz) i quali mi hanno mostrato e consegnato la prima delle quattro lettere pubblicate nel libro. Fu per me una sorpresa straordinaria: 20 pagine scritte a macchina nel 1943 da mio padre Willy a Franco, scritte su carta sottilissima, senza quasi correzioni, e con il dichiarato timore che il fratello le leggesse solo dopo la sua morte per mano nazifascista. Diffusi questa lettera tra i parenti italiani ed europei e, come conseguenza, ne saltarono fuori altre, molte (mi vergogno di dirlo) finite in solaio e fino ad allora trascurate. Andata in pensione dopo trent’anni alla Hoepli e sollecitata da vari amici, trovai il tempo e l’energia di concepire un libro. Purtroppo non abbiamo le risposte di Franco a queste e alle tante altre lettere, perché i miei genitori in età avanzata hanno deciso di eliminare tutta la corrispondenza ricevuta: li vedo ancora fisicamente mentre stracciano pacchi di cartoline postali (come usavano a quei tempi) e di lettere, perché non ritenevano importante che altri (in particolare noi tre figlie) ne venissero a conoscenza.

Che il dottor Schwarz l’avesse voluto o no, le sue quattro lunghe missive offrono tutt’oggi una preziosa testimonianza storica di ciò che avveniva agli ebrei in quegli anni, aiutandoci a mantenere viva la memoria delle innumerevoli vittime di uno sterminio senza precedenti nella storia.