laR+ Letteratura

(Lettere) Dalla Valposchiavo a Elisa Shua Dusapin

Incontro con la scrittrice, e uno sguardo al festival – appena conclusosi – dedicato alla produzione letteraria svizzera nelle quattro lingue nazionali

Elisa Shua Dusapin
(Alessandro Belluscio)
11 ottobre 2022
|

Si è conclusa domenica la II edizione di Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo, festival ideato dalla scrittrice Begoña Feijoo Fariña. Quest’anno il tema scelto era "Casa", inteso in un senso così lato da portare con sé il concetto di radici, emigrazione, identità. È toccato a Yari Bernasconi aprire la serie d’incontri (seguiti da un pubblico sempre numeroso quanto attento), e forse non poteva essere altrimenti, visto che il poeta/scrittore ticinese ha molto a cuore l’idea di ‘geografia mobile’. Su un’isoletta estone dove un tempo andavano in vacanza i militari sovietici, si è sentito così a casa – anche grazie a un’amica che gli faceva da guida – da scoprire la poesia quale strumento per esprimere emozioni e sentimenti suscitati da quel viaggio. Lassù a Dejevo è poi tornato dopo la caduta del comunismo, trovando il villaggio in rovina ("Solo qualche mattone qua e là"). Il luogo che aveva raccontato coi suoi versi liberi è così diventato metaforico, e Bernasconi lo ha sostituito dopo qualche tempo con la realtà irlandese. Anche lassù – confessa – ha potuto esclamare "Mi sento a casa!". Ricordato come il diritto di emigrare dovrebbe sempre accompagnarsi a quello di restare, ha concluso dicendo che "alla speranza preferisco l’utopia: l’immaginazione e la fantasia che permeano la realtà".

Lo straziante esilio

È poi stata la volta di Usama Al Shahmani (già visto a ChiassoLetteraria in compagnia del suo fido traduttore Sandro Bianconi), autore iracheno costretto all’esilio dopo aver messo in scena una pièce contro il regime di Hussein. "Laggiù l’unico spazio libero erano i sogni", ha detto riecheggiando i toni poetici dei suoi titoli (‘La piuma cadendo impara a volare’), titoli che prende dalle sue poesie in arabo e senza i quali non può cominciare un nuovo romanzo. "Scrivo in tedesco perché l’esilio è straziante e volevo integrarmi al più presto nel Paese che mi ha accolto, avvicinandomi altresì al mio nuovo pubblico". È stata la nonna coi suoi racconti a spingerlo alla narrazione (come G.G. Marquez! ndr), ma alla quale non poteva rivolgere alcuna domanda: aveva 8 anni quando voleva sapere chi era quell’omino barbuto che scendeva da un aereo – Khomeyni – e la risposta fu un perentorio "Stai zitto!". "È pericoloso porre interrogativi nella realtà islamica. Per questo sostengo le donne iraniane che si chiedono perché mai bisogna portare il velo, mettendo così a repentaglio la loro stessa vita".

Mentre l’autrice ‘di casa’ Rut Plounda ha spezzato la sua ennesima lancia in difesa del romancio (collabora al programma ‘Impuls’ diffuso da Radio Rumantsch), Bruno Pellegrino ha confessato come il fascino della casa dove il poeta romando Gustave Roud (1897-1976) trascorse la sua vita in compagnia della sorella Madeleine l’abbia spinto a pubblicare ‘Laggiù, agosto è già autunno’.

Non nasconde la sua soddisfazione il genius loci della kermesse poschiavina Begoña Feijoo Fariña (a sua volta già autrice del toccante ‘Per una fetta di mela secca’): "Ormai quasi tre anni fa ho pensato fosse arrivato il momento di provare a coltivare il seme di un sogno piantatosi in me da tempo. Grazie all’entusiasmo di un gruppo di persone meravigliose, lo scorso anno ho potuto esclamare ‘siamo nati e stiamo imparando a camminare’. Quest’anno abbiamo camminato con le gambe più sicure, incontrando case vuote, abbandonate, smantellate e poi ritrovate, amate e temute, case abitate e che abitano, proprio come le lingue. Spero cammineremo con passo ancor più spedito l’anno prossimo!". Appuntamento dunque per l’ottobre 2023.

L’intervista: ‘Osservo, rifletto e scrivo’

Elisa Shua Dusapin è un bell’esempio di ciò che il Festival vuole proporre: un incontro tra lingue e culture diverse. Babbo francese e mamma coreana, è cresciuta tra Parigi, Seul e Porrentruy; parla correntemente coreano, inglese, tedesco e scrive in francese. La sua opera d’esordio, ‘Inverno a Sockho’, ha avuto riconoscimenti in Svizzera e in Francia, e una volta tradotta le è pure valsa il prestigioso National Book Awards 2021. «Ho iniziato a scriverlo a 17 anni (oggi ne ha 30 e nel frattempo ha già pubblicato altri due romanzi: ‘Les billes de Pakinko’, e ‘Vladivostok Circus’, ndr), quando dovevo fare da traduttrice tra il mio ramo francese e quello asiatico. Le due famiglie non è che andassero proprio d’accordo, sicché talvolta ammorbidivo i toni, e qualche volta buttavo là anche delle bugie, a fin di bene!». Si sentiva in imbarazzo sia in Europa, sia in Asia: non si sentiva mai ‘a casa’. La scrittura è stata l’arma con cui ha sconfitto la solitudine. La sua protagonista, che conduce la narrazione in prima persona epperò non ha un nome, ha anch’essa un papà transalpino e una madre asiatica. «Però il mio non è un libro autobiografico, sebbene ci siano riferimenti alle mie esperienze. Non passavo le estati a Sockho, località turistica rinomata per le sue spiagge. Preferivo andarci appunto in inverno poiché cercavo una città sul confine e che stenta a trovare un equilibrio tra l’invasione turistica estiva e l’abbandono dove piomba nella stagione morta».

C’è un’atmosfera sospesa nel suo libro, i personaggi si presentano senza tanti fronzoli e sta dunque al lettore elaborarne l’identikit… «Da una parte è una scelta, dall’altra – spiega con sorprendente modestia – non mi sento ancora matura per buttarmi in un’analisi psicologica. Mi limito a osservare e poi riferire». Difatti la sua scrittura è secca e sintetica (frasi corte, spezzate e sovente senza un verbo) che se da un lato ricorda una sceneggiatura cinematografica – con quell’insistita attenzione al dettaglio apparentemente, ma solo apparentemente!, insignificante – dall’altro può riecheggiare lo stile di Guy de Maupassant, non a caso citato più volte nel suo libro. «È un autore che divoravo nelle mie prime letture serie. Oggi preferisco scrittrici come la giapponese Yoko Ogawa o la franco-senegalese Marie Ndiaye, anch’esse interessate allo stretto quotidiano. Però, scrivendo ‘Inverno a Sokcho’, ho pensato soprattutto a ‘L’amante’ di Marguerite Duras». Un suo personaggio, Jun-ho, sogna d’andarsene a Seul e il suo desiderio si avvera: "Se ne vanno tutti", aggiunge la sua protagonista: la capitale è davvero una calamita così potente? «Sì: la Corea conta 40 milioni d’abitanti e più della metà vivono a Seul. C’è una netta discriminazione verso chi vive ancora in campagna, considerato quasi un cittadino di serie B. È un po’ quanto accade in Francia e la sua capitale: tutti vorrebbero abitare a Parigi». E a questo proposito, Elisa conclude il nostro incontro svelandoci una curiosità: «L’ingegnere che ha progettato la linea super veloce Seul-Tokio è lo stesso che ha realizzato il Tgv francese».

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE