Il ricordo

Fernando Grignola, poeta testimone

Ottavio Lurati, filologo e linguista, nonché professore emerito all’Università di Basilea, ricorda il poeta scomparso oggi all’eta di novant’anni

Voce rappresentativa della poesia dialettale della Svizzera italiana
(Ti-Press)
22 agosto 2022
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La scomparsa di Fernando Grignola (morto oggi all’età di novant’anni; ndr) è il venir meno di una persona dignitosissima, che frequentavi con passione ed amore, che ha mostrato come non si sia poeti solo per sé stessi o di sé stessi, bensì di una comunità. Sono troppi i poeti che si occupano quasi solo di sé, dei loro pensieri, magari della loro "fama".

A me piace l’opposto: piacciono i poeti che raccolgono le memorie, gli aneliti, i problemi (Agno assediata da quasi trentamila auto al giorno), piace il poeta, meglio "l’uomo" che raccoglie le pene di tutta una comunità: sono i poeti testimoni. Vivono la loro comunità ed essa in loro si identifica. Lo scrivere diviene atto civile, denso di verità e umanità. Tale il lungo operare di Fernando Grignola.

Ora in lingua (dove ha cominciato a provarsi) poi soprattutto in dialetto Fernando ci ha donato ricchezza di valenze umane e culturali, ha mostrato solidarietà e impegno, un impegno mai esibito, mai sbandierato in chiave pubblicitaria.

L’intero agire poetico ed umano di Grignola stava e sta all’insegna dell’autenticità, di una grande autenticità, di una intensa moralità, di un alto senso etico e civile. Solo così si può essere veri poeti. Era uno scrivere, quello di Grignola, che si faceva e si fa concretezza, intridendosi nel reale, nel vissuto della gente.

"Una poesia dove non si nota nemmeno un bicchiere o una stringa – osservava Caproni – mi ha sempre messo in sospetto". Ebbene, in Fernando vi è l’uomo: come il bergamasco che rievoca la sua terra o come l’anziana che nel sogno rivede il proprio paese percorso da cavalli e calessi infiocchettati per la benedizione di san Provino. Vi è natura (colpisce in lui l’attenzione con cui guarda agli uccelli, declinati nelle più diverse metafore dialettali), vi è interazione con la gente, comprese le testimonianze sul pilota americano che, due giorni prima che termini quel grande dilaniamento che è la seconda guerra mondiale, si lancia con il paracadute e a Ponte Tresa Italia lo accolgono a fucilate. E colpisce la forza delle pagine su Jean Corty, il tragico pittore che certa nostra ufficialità del Trenta-Quaranta del Novecento emargina. No, Grignola non si è mai imprigionato in uno sterile solipsismo. Né ha fatto divenire il mondo oggetto della propria soggettività, come talora accade anche alle nostre latitudini.

Lettrici e lettori intuiscono che le poesie gli vengono da sé, con una loro dialettica di vita. Fernando non scriveva le poesie che voleva, bensì scriveva le poesie che gli scaturivano quasi da sole, come confidava un giorno agli amici. È lo stigma del poeta autentico. Merito non indifferente, il suo, quello di non fare letteratura, bensì di uscire dalla letteratura. Un bisogno quanto mai impellente per noi di cultura italiana che veniamo da una secolare tradizione letteraria del far poesia.

E le poesie in dialetto? Vi si dispiega, commossa, l’eco di infinite generazioni di gente non solo di Agno, ma di ogni altro luogo: non sono tempi, questi, per indulgere a chiusi localismi.

Grignola non ha mai concesso spazio al nostalgismo. E non per nostalgismo bensì per i valori di dignità che si è fatto interprete di una voce corale, parlava come la gente e con la gente. Di qui il suo vigoroso ricorrere alla profondità di parole antiche, pregne di dignità su cui il lettore sosta ora pieno di riverenza. Affiorano parole di alta moralità civile: si vorrebbe esemplificare. Ma la voce che conta, anche questa sera, non è la nostra bensì quella, densa di vissuto e di echi ormai sconosciute a molti, di Fernando.

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