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Quel curioso, bonario, brusco sergente Studer

Personaggio che vaga nella psiche di tutti. Quello che si dice, banalmente, ‘mettersi nei panni’. È ‘Il sergente Studer’, creatura di Friedrich Glauser

Friedrich Glauser nel 1931
(Keystone)

"Ma Studer era pur sempre un sergente investigativo della Polizia cantonale di Berna, e non lo si poteva mandare al diavolo così su due piedi". Studer ha arrestato il giovane Erwin Schlumpf, per omicidio, ma qualcosa non lo convince e torna in carcere per interrogarlo. Chi vorrebbe mandarlo al diavolo è il secondino Liechti, che sta pranzando.

Il fatto è che "una delle caratteristiche principali del caso Witschi sembrava l’impossibilità di giungere neppure a delle conclusioni parziali". Questo a indagine molto inoltrata. E ora invece siamo solo all’inizio e non sappiamo quasi nulla. Procedendo ci paiono tutti sospettabili: il proprietario del vivaio e il figlio della vittima, il sindaco e il professor Schwomm, la moglie di Witschi e il garzone del barbiere, innamorato di Sonja. Ma Sonja ama Schlumpf, naturalmente, unico sospettato che è già in carcere e perdipiù confessa. Tutti cospiratori, sembrano, contro il povero signor Witschi, salvo la figlia Sonja e incluso lo stesso Witschi, sull’orlo del fallimento quando questo era una tragedia vera e una vergogna. Il caso è intricato ma noi lasceremo fare al wachtmeister Studer, alla sua prima apparizione (‘Il sergente Studer’, 1936). Anche se lui sa che sono "meglio dieci casi di omicidio in città che uno in campagna. In campagna, in un paese, le persone sono attaccate tra loro come sanguisughe, ognuno ha qualcosa da nascondere... Non vieni a sapere nulla, proprio nulla (...) Dio ci scampi dai casi di omicidio in campagna".

‘Mettersi nei panni’

Siamo felici di seguire Studer, e Friedrich Glauser, mitemente. Il lettore di un giallo è un cercatore di colpevoli o un lettore come gli altri, che scorre le righe per vedere che succede? Forse legge e basta anche lui: un po’ più vigile del solito, pigramente come al solito. Ma anche Studer procede pigramente, distraendosi. Curioso, bonario, brusco, sembra non volere che l’indagine finisca. Ha interrogato sette persone, mettiamo, e il caso infine si risolve. Ma ne restavano due e vorrebbe sentire anche quelle, ora che non serve a niente. Prende gusto alla storia e ai personaggi, che per lui sono persone. Vaga nella psiche di tutti. Quello che si dice, banalmente, "mettersi nei panni", e questo lo porta piuttosto lontano: alla malavoglia di giudicare. Se potesse con qualche sotterfugio lasciare andare l’omicida (sarà punito dalla coscienza, o pagherà diversamente qua e là nella vita) senza insultare la vittima, lo farebbe. Quel che è certo è che arriva stremato alla fine del caso: "E quando avrete finito con questa storia – gli dice il medico che lo visita nelle ultime pagine – sarete pronto per l’ospedale". Si era ammalato correndo in moto sotto la pioggia, con Sonja seduta dietro, l’altra vera vittima della vicenda, con la quale il sergente simpatizza fin dal primo momento.

"Davanti alla porta c’era un uomo robusto con un impermeabile blu. Il volto non si vedeva bene sotto il cappello nero di feltro a larga tesa". Questo è lo Studer a venti pagine dalla fine. Appare davanti alla porta del dottor Neuenschwander perché di sicuro ha un microscopio, e lui cerca tracce di polvere da sparo in una fotografia ingrandita. Uno Studer ricomposto, in blu, verso la fine della storia. Non che fosse scomposto prima, ma prendiamo per esempio "la sua posizione preferita", da seduto: "Le cosce aperte, le braccia sulle cosce, le mani giunte". Una posizione tra la stanchezza e l’attenzione, il raccoglimento e l’attesa. E tutto l’opposto della compostezza. Studer in certi momenti è estremamente corretto, riguardoso, in altri è noncurante e informale. Le maniere semplici sono parte della sua umanità, e gli risultano utili a mimetizzarsi: entrare nella scena come un elemento tra gli altri. E guardare.

Rimandi

Il sergente Studer ricorda il commissario Maigret ma questo è tutto. Nessun tipo di filiazione o influenza. In modo simile si può dire che Maigret ricorda Studer, nel fisico e nei modi, nella tendenza a farsi permeare dall’ambiente, nell’attrazione per i ‘margini’. Fuori di questo, si cade nell’indagine puramente enigmistica, che non interessa a Glauser né a Simenon. L’indagine è per loro pretesto per entrare in un mondo profondamente. E ricrearlo per chi legge. Così i gialli di Glauser si risolvono da soli. Come se anche il sergente Studer stesse leggendo.

L’articolo è finito, ma vorrei chiedere una specie di sigillo alla casualità. Sigillo o spiraglio per scrutare un’ultima volta Studer e il suo creatore. Ho davanti a me, casualmente, ‘La provincia dell’uomo’ di Canetti. Non sono mondi così lontani. Apro a caso e leggo: "Tra avere un’esperienza e dare un giudizio c’è la stessa differenza che tra respirare e mordere".

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