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Attraente e inquietante, la Milano di Giorgio Scerbanenco

‘Traditori di tutti’, una scrittura dinoccolata come la figura dello scrittore, e che non somiglia a nessun’altra

Giorgio Scerbanenco, 1911-1969

"Ca’ Tarino fa parte di Romano Banco, che è una frazione di Buccinasco, che è un comune vicino a Corsico, che è vicino a Milano, praticamente è sempre Milano". Giorgio Scerbanenco divenne famoso per la ‘sua’ Milano, e una certa Milano si fece famosa, attraente o inquietante grazie ai romanzi di Scerbanenco. ‘Sua’ tra virgolette perché era di padre ucraino e madre romana, e visse fino a sedici anni a Roma.

Sei fai conto di non aver letto un solo giallo in vita tua, ne leggi uno di Scerbanenco e noti per prima cosa lo squallore. Ambiente, voci, parole non finte, o meglio non false rispetto all’argomento. Tutto è finzione quando diventa scrittura, ma c’è la falsa e la vera. La reale conquista, per la letteratura italiana degli anni Sessanta, è il territorio dello squallido urbano che mancava ancora ovunque e perfino nei gialli, che si muovono in sordidi ambienti. Tale virata si deve a lui. Duca Lamberti, protagonista degli ultimi quattro romanzi, nasce singolare non solo nel nome. Ex medico radiato dall’ordine per eutanasia, indolente e solerte, dubbioso e risoluto, in Traditori di tutti si ritrova una valigetta con dentro un mitra, e due morti, poi un altro, poi un altro tutti finiti nel Naviglio. Poi un altro ancora… La valigetta gliela lascia una donna, tornerà qualcuno a prenderla, lui nel frattempo, visto che è un medico, dovrà ‘ripristinare’ la verginità di lei che sta per sposarsi. Traffico d’armi e prostituzione, forse terrorismo, droga. Una catena di misfatti, malfattori e malfattrici che Duca Lamberti andrà tirando verso di sé, con l’esca della valigetta, stimolando da ognuno il tradimento di tutti.

Scerbanenco soffriva di non essere preso per italiano. Cambia con una ‘c’ la ‘k’ del cognome, italianizza il secondo nome e lo sceglie come primo. Dopo vari lavori tutti improbabili, fresatore, magazziniere, barrelliere, contabile, arriva ai settimanali Rizzoli: codirettore, responsabile delle rubriche di lettere, inizia a pubblicare romanzi a puntate. Romanzi rosa già con decise pieghe di giallo e di nero. Ma non far finire male un romanzo lo fa soffrire. Lo racconta Oreste Del Buono. Un romanzo rosa deve finire bene. E a un certo punto si stanca e nasce, con Duca Lamberti, ‘Venere privata’. È il 1966 e ha 55 anni. Quello stesso anno esce ‘Traditori di tutti’. È l’inizio della nuova unilaterale carriera – quella vera e interamente nera – che si interromperà, per la morte, dopo soli tre anni e due romanzi.

"Il profano – scrive – pensa che l’ispirazione sia qualche cosa di magico che chi scrive deve star lì ad aspettare (…) Ma non è così. Si scrive quando si vuole, e l’ispirazione, forse, non esiste. Come in tutte le cose, bisogna soltanto aver voglia di scrivere (…) Non è l’ispirazione che manca al poeta che guarda il cielo azzurro, è la voglia (…) A me piace scrivere. Ho scritto da per tutto, e nelle condizioni meno confortevoli. Non mi occorre né solitudine né silenzio né scrivanie speciali. L’unica cosa di cui ho bisogno è la macchina per scrivere – una qualsiasi, anche la più scassata – perché voglio vedere subito chiaro e ben allineato quello che scrivo".

Un talento feroce per la scrittura e un’esperienza del mondo maturata sulla conoscenza della cronaca e sulla propria vita. Capacità di osservazione e amore del dettaglio, curiosità onnivora, spregiudicatezza in ogni campo, inclusa quella verso il protagonista dei suoi ultimi e maggiori romanzi, del quale non si innamora. Distacco, gioco (sempre feroce) e disinvoltura anche verso la propria scrittura, che nasce e resta com’è quasi senza correzioni. Manca qualcosa per fare un vero scrittore, ma lui ce l’ha: coraggio e compassione, impietosità e pietà, amore-dolore per la vita con quello che c’è dentro.

Così è anche in ‘Traditori di tutti’. Una scrittura dinoccolata come la figura dello scrittore, e che non somiglia a nessun’altra. Una Milano vista di scorcio correndo in macchina, complice e insieme distante da ciò che vede accadere, colta di sorpresa da una smagliante primavera.

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