Cinquecento pagine di appassionata immersione nella storia e nella cultura del Tibet scritte da Piero Verni per Nalanda. A colloquio con l’autore
Piero Verni, scrittore e giornalista, è da 40 anni un vero conoscitore delle regioni himalayane di tradizione tibetana e un grande studioso del Tibet e del suo popolo, che frequenta da sempre. Lo scorso settembre, per le edizioni Nalanda, è uscito ‘Il sorriso e la saggezza, Dalai Lama, biografia autorizzata’, 500 pagine di appassionata immersione nella storia e nella cultura del Tibet. Con la narrazione della vita di Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama, emergono i drammatici eventi che dagli anni 40 del secolo scorso e dopo l’invasione cinese del 1950 hanno segnato il destino di questo popolo e portato il suo massimo rappresentante all’esilio di Dharamsala, nello stato indiano dell’Himachal Pradesh. Qui, a partire dal 1960 il Dalai Lama ha proseguito e prosegue l’opera di salvezza del suo popolo, perché il Tibet possa sopravvivere, perché la comunità internazionale non lo possa dimenticare.
A Dharamsala il Dalai Lama ha anche creato, per la prima volta nella storia un inedito interessante punto di contatto fra i massimi risultati della scienza e della filosofia buddista e quelli raggiunti dalla fisica moderna.
Abbiamo posto alcune domande a Piero Verni.
Conosci il Tibet da 40 anni, hai avuto un gran numero d’incontri, conversazioni e interviste con il Dalai Lama. Puoi descriverci questo personaggio?
Da molto tempo ho il privilegio di avere rapporti continuati con il Dalai Lama. È un uomo di grande valore sia sul piano etico sia su quello spirituale. Poche persone lo incontrano senza essere colpite dalla sua dedizione alla causa del Tibet e del suo popolo e soprattutto dalle sue qualità, ha la capacità di stabilire con quanti incontra un rapporto di empatia basato su semplicità, immediatezza e assenza di formalismi. L’aspetto che mi ha notevolmente colpito è la sua curiosità verso il mondo contemporaneo, in modo particolare nei confronti della scienza e delle sue teorie.
Scrivi nel libro che il Dalai Lama nasce in “un remoto angolo di Medio evo asiatico”, eppure ha sempre cercato di modernizzare la cultura tibetana e traghettarla nella modernità. Pensi ci sia riuscito?
Di sicuro ci sta provando. E con un certo successo. Ovviamente non è un compito facile trasformare una tradizione antica di oltre un millennio rimasta isolata per secoli sul Tetto del Mondo. Mi ha detto più volte che se gli fosse stato consentito avrebbe fatto numerose riforme e operato alcuni cambiamenti che riteneva necessari nell’organizzazione sociale del ‘Paese delle Nevi’. L’invasione cinese del 1950 e l’esilio indiano a cui fu costretto nel 1959 non gli hanno permesso di mettere in pratica questi suoi propositi in Tibet. Lo ha però fatto nell’universo della diaspora tibetana che, pur mantenendosi fedele alle proprie radici, ha saputo aprirsi all’esterno. Tutti i grandi Maestri del Tibet che sono riparati in India hanno contribuito a questo intelligente cambiamento, ma senza il suo carisma e la sua guida non credo che questo sforzo avrebbe prodotto i medesimi risultati.
Da secoli la Cina cerca di annettersi il Tibet. Nel libro descrivi in dettaglio le drammatiche fasi politiche tibetane sia precedenti sia successive all’invasione cinese. È vero che il Dalai Lama agli inizi fu colpito dalla personalità carismatica di Mao Tse-tung e che non aveva nei suoi confronti un atteggiamento ostile?
Certamente. Aveva sperato, ahimè sbagliando, che quantomeno sul piano personale fosse possibile mantenere con Mao un rapporto amichevole. Francamente ritengo che all’inizio anche da parte di Mao ci fosse una certa simpatia per questo giovane ‘Dio Re’ che guidava un Paese arcaico dalla cultura così distante da quella del leader cinese. Poi però prevalsero le ragioni della realpolitik e le cose andarono come sappiamo.
Pensi che questa radicalizzazione del rapporto riuscirà a essere in parte superata?
In ogni caso molto dipenderà da come andranno le cose in Cina. Se la politica di Xi Jinping rimarrà quella attuale, e tutto lascia pensare che lo rimarrà, dubito fortemente che il colloquio tra tibetani e cinesi avrà luogo. Ritengo invece che se la posizione di Pechino dovesse mutare e divenire meno rigida, si potrebbero aprire spazi per un autentico dialogo che fino a ora non c’è stato. Per quanto mi riguarda la penso come Antonio Gramsci: il pessimismo della ragione bilanciato dall’ottimismo della volontà. O, per dirla con il Dalai Lama, prepararsi al peggio ma sperare nel meglio.
Scrivi che ha sempre cercato il dialogo con Pechino: il Dalai Lama segue la teoria della non violenza di Gandhi?
È stato profondamente influenzato dalla visione gandhiana e dalla lotta per l’Indipendenza dell’India, ancora oggi un suo costante punto di riferimento. Per quanto riguarda il dialogo con Pechino, lo ha sempre cercato, a volte attirandosi qualche rispettosa critica dagli ambienti dell’esilio tibetano più radicali. Purtroppo, e cerco di spiegarlo in dettaglio nel libro, tranne brevi periodi da parte di Pechino le risposte sono sempre state improntate a una algida chiusura. E dal momento che per colloquiare bisogna essere in due...
Una parte di tibetani non condivide le sue scelte moderate e non violente. Anche con loro dialoga?
È quella parte della società tibetana in esilio di cui parlavo prima. Il Dalai Lama pur non condividendo le loro scelte ha sempre mantenuto un cordiale rapporto con loro. Per lui, potremmo dire, la dialettica democratica è una sorta di religione. E avviene lo stesso con quei, chiamiamoli così, dissidenti Ho diversi amici tra questi tibetani e posso testimoniare che la diversità di posizioni politiche non ha mai scalfito il rispetto e la devozione nei confronti del loro leader.
Nella sua lunga vita quali sono state le più significative operazioni e strategie politiche per la salvezza del Tibet?
Innanzitutto l’aver compreso, nel marzo 1959, che la scelta giusta era andare in esilio per poter continuare a essere il portavoce del suo popolo, come mi ha più volte ricordato, non fu una scelta facile ma capiva che doveva compierla. Poi l’idea che la lotta del popolo tibetano non deve esprimersi in una cornice ultra nazionalista. Di grande rilievo è anche la sua idea di una grande Cina federativa dove a livello paritario, trovino posto i differenti popoli che compongono il mosaico dell’attuale Repubblica Popolare.
Da un punto di vista più specificamente politico credo che il ‘Piano di Pace in Cinque Punti’ del 1987 e la ‘Proposta di Strasburgo’ del 1988 siano state le scelte politiche più significative. Per motivi di spazio non è possibile parlarne qui, e rimando al libro dove li approfondisco.
Il Dalai Lama è venerato come manifestazione terrena del ‘Bodhisattva della compassione universale’, Chenrezig in tibetano. Potresti chiarire cosa significa?
A grandi linee, potremmo dire che nel Buddhismo, in specie quello tibetano, un bodhisattva è un essere che grazie al potere delle sue realizzazioni spirituali mette se stesso totalmente al servizio della compassione. Chenrezig è, come dire, l’archetipo di questo principio. E i Dalai Lama sono ritenuti la manifestazione terrena di questo principio.
Come lo si riconosce?
Nel libro ne parlo diffusamente. Si ritiene che alla morte di un Dalai Lama il principio di cui ti parlavo ‘entri’ in un nuovo involucro fisico. Un nuovo corpo. Nuovo fisicamente ma che a livello psichico porta con sé alcune memorie delle vite precedenti. Ed è proprio grazie a questi ‘ricordi’ che è possibile capire in quale bambino il ‘continuum mentale’ del precedente Dalai Lama si è reincarnato. Ovviamente questa è una spiegazione molto sintetica di quanto avviene.
Il tipo di visione di cui è portatore il presente Dalai Lama potrebbe trasformare le singole persone, influenzare il discorso politico?
Trasmettere questa visione alla gente è il compito principale della religione e della filosofia buddhiste. Uno degli sforzi del Dalai Lama è proprio quello di cercare d’immettere nella dimensione politica valori quali la compassione, il dialogo, la tolleranza e il rispetto reciproco.
Nella sua residenza indiana di Dharamsala, nel 1987, il Dalai Lama ha incontrato degli scienziati contemporanei per confrontare alcune scoperte scientifiche con il tradizionale pensiero buddhista, specialmente quello psicologico ed epistemologico. Si è trattato di un incontro ripetuto nel corso degli anni e che ancora continua. Puoi parlarcene?
A questo particolare aspetto della vita del Dalai Lama ho dedicato uno dei capitoli cui sono maggiormente affezionato. Vedi, la storia dell’incontro di Tenzin Gyatso con il mondo scientifico e i suoi rappresentanti è quella di una passione nata in un Dalai Lama non ancora adolescente che nella vastità e nella solitudine del Potala, scopriva strani oggetti meccanici che gli parlavano di un mondo misterioso e affascinante che si trovava oltre gli sterminati altopiani del Tibet. Una passione continuata poi in un uomo cui le vicende della storia hanno permesso di poter incontrare personalmente alcuni tra i principali artefici della rivoluzione scientifica e tecnologica del nostro tempo.
Puoi fare qualche nome degli scienziati che ha avvicinato?
Filosofi, neuroscienziati, fisici quantistici, pensatori del calibro di Karl Popper, von Weizsäcker, Francisco Varela, David Bohm e tanti altri protagonisti dell’avventura scientifica che il leader tibetano non ha problemi a definire “i miei insegnanti”. Ed è una storia suggestiva quella in cui ci si trova a viaggiare tra le vette della filosofia orientale e i paradossi delle meccaniche dei quanta, tra le intuizioni del Buddha, di Nagarjuna, di Asanga, e il mondo degli atomi, dei neutroni, dei più avanzati esperimenti della fisica contemporanea. E al centro di queste riflessioni c’è sempre la mente dell’essere umano.
Per il Buddismo cosa conosciamo della mente?
Per il Dalai Lama, come del resto per l’intero pensiero buddhista, la mente è per sua natura limpida e pura. Il problema è che viene contaminata dalle emozioni. Sia da quelle ‘positive’ sia da quelle ‘negative’. La pratica della meditazione e dell’introspezione è il metodo per eliminare queste incrostazioni. Ma fino a quando non saranno eliminate continueranno a dominare gli esseri umani e di conseguenza il mondo. Per fortuna è possibile eliminarle. Anche se il cammino non è semplice.