Musica

Bye bye Everly Brothers, al crocevia tra country e rock and roll

Dopo Phil, è morto anche Don: esplosi nel 1957, implosi nel 1973, tornati dieci anni dopo per ritrovarsi un giorno 'profondamente diversi, tranne quando cantavamo'

Anno 1960, da New York all'aeroporto di Londra per il Tour europeo (Keystone)
23 agosto 2021
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“Maybe I’ve a reason to believe, we all will be received in Graceland”, cantavano entrambi nel 1986, quando i fratelli Everly, anche in funzione di ‘coristi’, erano ancora contemporanei. Philip (Phil) se ne sarebbe andato nel gennaio del 2014, Donald (Don) lo ha fatto lo scorso 21 agosto, 35 anni dopo un cammeo – quello in ‘Graceland’ (1986) – che è da leggersi al contrario, e cioè come un tributo di Paul Simon alla prima forma di duo con chitarra acustica e strettissime armonie vocali, gli Everly Brothers, un suono che avrebbe influenzato tanto Simon & Garfunkel, coppia dalle stesse caratteristiche, quanto i Beatles (che per un po’ pensarono di chiamarsi ‘Foreverly Brothers’), i Beach Boys (in origine quintetto) e i Bee Gees (trio). Paul Simon, in particolare, non ha mai smesso di tributare gli Everly Brothers: a fianco di Garfunkel nello storico concerto in Central Park del 1981 con ‘Wake Up Little Suise’ (l’intro chitarristico di quel brano del 1958 fruttò a Don Everly un posto nel Musicians Hall of Fame and Museum) alla più recente ‘I Wonder If I Care As Much‘, dall’album del debutto degli Everly, in duetto con la moglie Edie Brickell durante il lockdown. Paul Simon che in una vecchia puntata di ‘Classic Albums’, un dietro le quinte di tutti i grandi dischi della storia della musica pop e rock, riascolta le tracce isolate del brano ‘Graceland’ e dice “too many words for them”, quasi colpevolizzandosi per l’aver dato “troppe parole” da cantare ai due fratelli, in quel disco ‘africano’ in cui gli Everly rappresentano l’american songbook. 

Convinto di morire prima di Phil, in quanto più giovane, Don Everly è morto dopo di lui. E con la dipartita dell’84enne, annunciata dalla Country Music Hall of Fame, la più armonicamente seminale delle coppie artistiche, piombata sulla scena poco dopo la metà dei Cinquanta “nel punto in cui il country incontra il rock and roll” (tanto per citare altro Paul Simon), non esiste più. Scoperti dal chitarrista Chet Atkins, scaricati dalla Columbia Records dopo il flop del primo singolo, passati ad altra minore etichetta, nel 1957 gli Everly Brothers sono secondi solo a Elvis nelle chart pop con un brano che tutti in precedenza avevano rifiutato, ‘Bye Bye Love’; secondi a Elvis, ma primi nelle classifiche country e R&B; e tra il 1958 e il 1962, i due fratelli piazzano altri brani da top 10: la sopraccitata ‘Wake Up Little Susie’, ‘All I Have to Do Is Dream’ e ‘Cathy’s Clown’, frutto del passaggio alla Warner Bros. Records.

I primi Everly Brothers – resi assai rapidamente old-style dal successo dalla British Invasion, ma forti di altri n.1 nel Regno Unito, di una popolarità costante in Canada e dell’apprezzatissimo album ‘Roots’ (1968) – terminano prima della fine dell’ultimo concerto: nel luglio del 1973, Phil abbandona il palco sfasciando una chitarra, lasciando Don a finire la serata, stanco di essere l’altra metà di un duo la cui storia è anche una storia di dipendenze (alcol e anfetamine). Duo che riprende la sua strada dieci anni più tardi dopo tante collaborazioni ognun per sé (Don con il chitarrista Albert Lee, Phil nei dischi di Warren Zevon, Dire Straits, Emmylou Harris): il nuovo disco prodotto da Dave Edmunds e un singolo scritto per loro da Paul McCartney, i tanti concerti ricominciati dalla Royal Albert Hall di Londra, gli infiniti ‘guest’ e varie Hall of Fame, non riusciranno a fermare la trasformazione dei due fratelli in due estranei l’un l’altro, con Don ad attribuire le cause alle opposte visioni politiche: “Fatta eccezione quando cantavamo insieme, siamo sempre stati profondamente diversi”.

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