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'Zebio Còtal', la ruvida violenza dell’esistere

Presentato nel 1961 da Pier Paolo Pasolini per Feltrinelli, ammirato da Giorgio Bassani, fu il capolavoro del modenese Guido Cavani. Lo ha recuperato Rfb

28 agosto 2021
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Ci sono, per nostra fortuna, in questo tempo di bassa cultura, cultura di massa o più semplicemente di mercato, piccoli editori nuovi che compiono un lavoro di paziente ricerca e anche di recupero di opere e autori ingiustamente dimenticati, Tra questi c’è Rfb (readerforblind), di Ladispoli (Roma), nata nel 2015 per iniziativa di Dario Antimi, Adria Bonanno e Valerio Valentini, che ha di recente pubblicato un’opera di Guido Cavani, il romanzo ‘Zebio Còtal’ (p.256, € 16) e nella stessa collana, ‘Le polveri’, ha anche riproposto altri due romanzi interessanti è ormai trascurati, e cioè ‘I superflui’ di Dante Arfelli (1921-1995) e ‘Vento caldo’ di Ugo Moretti (1918-1991).

‘Zebio Còtal’ fu presentato nel 1961 da Pier Paolo Pasolini per Feltrinelli, fu ammirato da Giorgio Bassani (lo ricorda Omar Di Monopoli nella prefazione), e ripreso poi in successive edizioni, prima di cadere inspiegabilmente pressoché nell’oblio. Cavani, modenese, noto a suo tempo come poeta (1897-1967), aveva realizzato in quell’opera il suo capolavoro, molto superiore – anche a detta dei letterati concittadini e dagli ammiratori – rispetto agli altri suoi libri, in prosa o versi che fossero.

Si tratta di un romanzo in cui emerge la ruvida violenza dell’esistere in luoghi impervi attorno a Modena, in epoca che si intuisce di primo Novecento, con personaggi - in primo luogo il protagonista (appunto Zebio Còtal), contadino dal carattere aspro e primitivo - destinati a una vita brutale e infelice, sempre in duro attrito col reale, compressi nel povero senso angusto del proprio esistere. Si tratta di figure maschili (come il figlio maggiore Zuello, in complesso fuga perenne da tutto e il piccolo sfortunatissimo Bianco) e femminili (esemplari la moglie Placida e la figlia Glizia), figure del tutte prigioniere di una gabbia esistenziale senza possibile via d’uscita, salvo la morte, che nel romanzo colpirà più volte precocemente e crudelmente.

La vicenda principale è quella della vita di Zebio – dedito al vino e alla propria stessa balorda cattiveria – che l’autore seguirà nei suoi cupi passi sinistri fino alle pagine finali, pagine di una impressionante energia espressiva, già di per sé in grado di sottolineare l’importanza speciale di uno scrittore. Di Monopoli introduce poi collegamenti tra questo romanzo e le opere di autori americani e in particolare avvicina Zebio al formidabile personaggio di Cormac Mc Carthy, Lester Ballard, protagonista di Figlio di Dio, romanzo indimenticabile e originalissimo.

Cavani lavorava in tempi di neorealismo, ma andando ben oltre questa pur nobile tendenza o sigla. La sua scrittura e il suo stile sono nobili e asciutti, come la fisionomia morale (e non solo) dei suoi personaggi, e dunque agiscono nel segno di una coerenza interna, di una efficacia espressiva nella sua visione del mondo, espressa attraverso le vicende raccontate, che tiene perfettamente: a distanza di sessant’anni dalla prima uscita del romanzo.

Ammetto tranquillamene la mia ignoranza, fin qui, dell’autore, ora colmata con successo dalla riedizione del suo capolavoro. E anche se le altre sue opere non sono di uguale importanza, mi riprometto di leggerle, a cominciare dalle Poesie, di cui nel 2014 era uscita la raccolta completa, pubblicata nelle edizioni modenesi Colombini.