Sulla Croisette

In attesa del palmarès, a Cannes si rincorre il cinema

Delude ‘France’ di Bruno Dumont; è un capolavoro ‘Memoria’ di Apichatpong Weerasethakul, con Tilda Swinton. Fuori concorso, il cinema vero di 'Mes Frères Et Moi'.

Tilda Swinton in ‘Memoria’ di Apichatpong Weerasethakul (© Kick the Machine Films, Burning, Anna Sanders Films, Match Factory Productions, ZDF-Arte and Piano, 2021)
16 luglio 2021
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Scorrono gli ultimi film tra competizione e fuori in una Cannes che si accorge poco della presenza del festival. A parte qualche grande albergo, ma il mitico Carlton è chiuso e il Martinez chiude a mezzanotte il bar. Per il resto, i turisti invadono i ristoranti senza far rimpiangere i festivalieri e il McDonald è pieno fino a notte fonda. Il sospirato ‘Belle’, film d'animazione di Mamoru Hosoda, ha avuto qui l'anteprima; da oggi esce in Giappone e ci si aspetta un clamoroso successo di pubblico. Il film è costruito per il pubblico e sfacciatamente non lo nega. In una sala gremita all’impossibile, era facile capire il perché: la mancanza totale di originalità, il solito usuale prodotto che accontenta e diverte. La protagonista è Suzu, una studentessa di 17 anni, ancora segnata dalla morte della madre. Vive in un villaggio rurale con suo padre che, vedendola inconsolabile, non sa come aiutarla. Un giorno entra in ‘U’, un mondo virtuale che conta 5 miliardi di membri su Internet; qui diventa Belle, una cantante di fama mondiale. Il successo non guarisce le sue ferite, ma la scoperta, nel mondo virtuale, di una misteriosa creatura che sfida palesemente il dominio del sistema, porta Suzu/Belle a combattere per ragazzi che patiscono la violenza dei genitori, e a conquistare il cuore del ragazzo di cui è innamorata. Per ottenere tutto, deve rinunciare a Belle e imporsi nel mondo virtuale senza finzioni, una ragazza come tante, che non accetta di stare zitta. Inutile dire che è stato un trionfo, meritato, era quello per cui il film è stato fatto. Banali le canzoni, e questo è grave.


'Belle' di Mamoru Hosoda (© Studio Chizu)

Su altri pianeti, meno internetizzati, si muove in Concorso ‘Memoria’ di Apichatpong Weerasethakul, uno che qui ha già portato a casa una Palma d'Oro con ‘Loong Boonmee raleuk chat’ (2010), un premio della Giuria con ‘Sud pralad’ (2004) e il primo premio a un Certain Regard con ‘Sud sanaeha’ (2002). Dunque un regista che punta sempre a un premio, e anche questa volta non dovrebbe sfuggirgli, perché, come sempre, egli affronta la Grande Storia con il destino di chi la subisce, riuscendo a trasformare il suo afflato civile e sociale in poesia e misericordia. Ecco che ci porta allora a incontrare l’anziana Jessica (una sempre bravissima Tilda Swinton) venuta a Bogotà per visitare sua sorella. È tormentata da un forte ‘bang’, che solo lei sente, ma che la tormenta. Qui fa amicizia con un’archeologa, Agnès (Jeanne Balibar), impegnata su resti umani scoperti all'interno di un tunnel in costruzione. Nel suo vagare per la città è aiutata da un giovane musicista, ma nulla la salva dal suo tormento. Esce dalla città e in una località vicino incontra uno strano squamatore di pesci, pieno di ricordi della guerra civile colombiana. Il fiume passa vicino e loro in una rara comunanza umana condividono il dolore della loro memoria. Una poesia, con i tempi della poesia, con il respiro che segna la pacatezza di un ritmo alla ricerca di una pace interiore. Capolavoro, applausi meritati.

Fischi mischiati a pallidi applausi invece per il film più atteso del Concorso: ‘France’, di un Bruno Dumont sbiadito, che si dilunga, annoia, tenta storie musicali di asprezza inconsueta e inutile, lavora senza amarla con un’attrice, Lea Seydoux, la France del titolo, che sembra, anche nella metafora del film nel film, temerlo più che ascoltarlo. Il regista tenta di affondare i suoi spuntati artigli nel mondo del media televisivo, portando lo sguardo degli spettatori sull'attendibilità delle informazioni che da questo mezzo vengono passate, e sullo stretto gioco che mette insieme giornalisti e politici, in un controllo di forza verso il pubblico/elettore/consumatore. Dumont cammina sul minato terreno del conosciuto, del banale, del ridicolo, riuscendo a far ridere il pubblico in sala proprio nei momenti più drammatici. Lungo spropositatamente, il film non lascia tracce nella memoria, se non quella dell’ennesima presenza della Seydoux in questo festival.


‘France’, di Bruno Dumont (© 3B)

Di certo, meglio il terzo film in competizione: ‘Haut Et Fort’ (Casablanca Beats) di Nabil Ayouch, regista ben conosciuto a Cannes, dove è stato anche premiato. Qui confeziona un film all'apparenza abbastanza facile, un ‘saranno famosi’ ambientato in Marocco, ma tolta l’apparenza musicale – una classe che studia rap e hip hop – Ayouch ci coinvolge in un terreno minato dove a emergere sono la religione, la disoccupazione e, non ultima, la condizione femminile, tutto in un paese arabo, il Marocco, che non si è totalmente negato alle luci occidentali. Per questo, al di fuori delle rotte turistiche, il regista ci porta in un quartiere operaio e degradato di Casablanca, un quartiere dove all'ora delle preghiere serali si riempiono strade e piazze di fronte alla moschea. Qui l'ex rapper Anas trova lavoro in un centro culturale, per spiegare a un gruppo misto di giovani studenti il vero senso di comunicazione che deve avere un rapper. Nella classe è chiara la distanza tra i maschi e le femmine, e anche tra le stesse femmine, dove si distinguono quelle con il velo da quelle vestite all’occidentale. Anche tra i maschi si scoprono diversi modi di vedere proprio rispetto alla frequentazione religiosa. Anas, dopo un inizio difficile, proprio facendoli dialogare tra loro e ascoltandoli sempre, riesce a guidarli verso un concerto in cui risultano preparati, ma in cui emerge il peso dell’integralismo predicato in moschea. Il concerto viene bloccato, Anas, criticato dai superiori, decide di lasciare la scuola, e al momento della partenza tutta la classe lo saluta dal tetto della scuola rappeggiando felice. Ma più contento è l'insegnante che comprende di essere riuscito nella sua missione educativa, aver dato coscienza a tutta classe del diritto alla libertà di esprimersi e di essere rispettati.


‘Haut Et Fort’, di Nabil Ayouch (Virginie Surdej et Amine Messadi)

Fuori concorso, tra i tanti film si è visto anche un interessante film francese (erano comunque tantissimi, causa pandemia i film francesi): si tratta di ‘Mes Frères Et Moi’ (Titolo internazionale La Traviata, My Brothers And I) di Yohan Manca. Un film che parla di Nour, un ragazzo di 14 anni che si sta godendo l'inizio delle vacanze estive nel sud della Francia. È il più giovane di quattro fratelli che si devono occupare della madre da tempo in coma e che tengono a casa con loro perché non hanno i soldi per l'ospedale. A differenza dei suoi fratelli, Nur ha una particolare passione per l'opera lirica, canta le romanze ascoltando la radio e ha anche una bella voce. Sulla sua strada casualmente incontra una giovane cantante lirica che insegna canto nei centri estivi. Lei cerca di aiutarlo nel crescere l'educazione della voce, ma per Nur la vita non è facile: uno dei fratelli si droga e ruba i soldi per le cure della madre; un altro si prostituisce con vecchie signore e con omosessuali, ma è il più dolce di tutti verso Nur; il più grande dei fratelli, invece, si sente responsabile della famiglia e non ha bisogno che suo fratello canti. Una storia di vita quotidiana, piena di emozione, il ritratto di un mondo periferico, lontano dai riflettori perché troppo sporco. Ed è il Cinema vero quello che prende il coraggio di raccontarlo.

 

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