Culture

Selciatore in inverno, gelataio d’estate, il romanzo dei Venturini

Pubblichiamo un estratto del libro ‘Le stagioni dei Venturini’ di Elisabetta Peduzzi pubblicato da Iet per la collana Storie di qui

Battista Venturini | © Archivio della famiglia Venturini

Battista è un bambino quando, con il padre, arriva a Bellinzona: per mantenersi, i due trovano un equilibrio tutto loro: d’inverno pavimentano strade e piazze del Ticino, d’estate le percorrono con il loro carretto dei gelati: quella della famiglia Venturini, tra Otto e Novecento, è una “Storia di qui”, come recita la nuova collana che la casa editrice Iet dedica testimonianze e vicende provenienti dalla Svizzera italiana. Il primo libro è appunto ‘Le stagioni dei Venturini’, scritto con piglio romanzesco da Elisabetta Peduzzi.

L’autrice presenterà, in dialogo con Giuseppe Clericetti,  martedì 20 luglio alle 18.15 alla Gelateria Venturini a Bellinzona. Firmacopie alla Libreria Casagrande oggi, sabato 10 luglio, alle 10.30

Capitolo VI. Il gelataio

Battista faceva il selciatore in inverno e il gelataio in estate.

Correva l’anno 1894 quando, con il padre Domenico, decise di avviare la prima industria del gelato bellinzonese. Nella cittadina nessuno ancora aveva idea di cosa fosse né, tanto meno, che gusto avesse.
Iniziarono con i sorbetti alla frutta, confezionati a forma di piccole mattonelle colorate e avvolti in carta oleata che ne lasciava intravvedere il colore. Li chiamarono «pezzi duri». I bambini erano molto diffidenti, pensavano fossero dei panetti di burro. Per convincerli che si trattava di una delizia dovettero invitarli a un assaggio.
La diffidenza si dissolse con la velocità impiegata dal sorbetto a sciogliersi sul palato. Fu un successo immediato e la notizia del gelato dei Venturini volò velocemente di bocca in bocca.

All’inizio del Novecento produrre gelato era un’attività di nicchia, piuttosto complicata e laboriosa, artigianale, con ingredienti genuini e a chilometro zero! La frutta era inconsapevolmente bio; a quei tempi non c’era inquinamento. Bella frutta succosa, latte appena munto e, se disponibile, anche panna. Zucchero poco.
Veniva utilizzata una macchina che funzionava unicamente a forza di braccia.
La refrigerazione si otteneva aggiungendo del sale al ghiaccio che, precedentemente e opportunamente spezzettato, produceva un notevole abbassamento della temperatura del ghiaccio stesso. Quest’ultimo veniva poi sistemato nelle pareti laterali della macchina, all’interno della quale si inseriva il contenitore metallico con il prodotto liquido. Attraverso una veloce rotazione che avveniva manualmente, la crema si spalmava sulle pareti interne del contenitore, rapprendendosi e incamerando aria. Grazie all’agitazione, il prodotto rimaneva allo stato pastoso e quando raggiungeva la giusta consistenza il gelato veniva estratto con una spatola di legno.
La prima sorbettiera a manovella fu inventata da una donna americana: fu un’importante invenzione perché il lavoro con la spatola a mano era molto più faticoso. Ma la rivoluzione vera avvenne solo anni più tardi, quando un italiano costruì la prima gelatiera automatica, che fu poi distribuita in tutto il mondo. Di questa invenzione Battista venne a conoscenza quando ormai era quasi il tempo della pensione. Sarebbe stata musica del futuro. Per il figlio Angelo e le generazioni a venire.

La sfida più ardua in quegli anni pionieristici fu di riuscire a mantenere il gelato intatto durante l’attività di vendita ambulante, anche quando il termometro raggiungeva temperature altissime.
Quando il carretto si trovava nella piazza centrale, vicino a casa, era abbastanza facile fare rifornimento di ghiaccio. Giusto una piccola pausa, un salto in laboratorio e poi la vendita poteva continuare. Nel frattempo i clienti si erano nuovamente radunati in paziente attesa.
Preso dall’entusiasmo per il successo professionale, Battista, ormai adulto, decise di ampliare il suo raggio d’azione e provare a raggiungere ogni angolo del Ticino. Gli sarebbe servita un’attrezzatura più performante e avrebbe dovuto preparare più ghiaccio.
Acquistò dapprima un carretto e un cavallo, coi quali riuscì a spostarsi abbastanza facilmente.

Nel 1922, visto che gli affari andavano bene, optò per un’originale motocarrozzetta, una Frera dove, al posto del passeggero, sistemò un cassone con la scritta GELATI che conteneva una capiente sorbettiera.
Fu un successone. Tanto che si organizzò per aumentare i viaggi.
Al suo arrivo nelle piazze dei paesini, preceduto dal suono inconfondibile di una trombetta e al grido del suo personalissimo slogan «L’è scià al Batista che a fa i gelati l’è un artista», c’erano ovunque molti clienti ad aspettarlo. Un po’ per il gelato, che era una delizia, e un po’ perché era un’occasione di socializzare. Pure la simpatia e la cordialità del gelataio meritavano una sosta.
Il gelato era una delle poche concessioni che la gente poteva permettersi.
La sua famosa parigina gusto misto – vaniglia, fragola e limone – costava allora dieci centesimi e consisteva in due cialde di biscotto croccante con all’interno il gelato.
Per poterla confezionare brevettò una speciale macchinetta. La mise in opera un fabbro che realizzò dapprima uno stampo di rame stagnato, poi la produsse in argento.
Le parigine, farcite di gelato, saltavano fuori dalla macchinetta come per magia, aiutate dalla spinta del dito mignolo che, altrimenti, sarebbe rimasto disoccupato in tutto questo lavorio.
Di macchinette ne sono rimaste solo un paio, tramandate di generazione in generazione e conservate come reliquie dalla discendenza, che ancora oggi le utilizza regolarmente.

Anche i bambini adoravano la parigina e, se si comportavano bene, la ricevevano come ricompensa. Contrariamente quello era il castigo: niente gelato!
Se però attorno al carretto qualche bambino sgranava gli occhi deglutendo per l’acquolina ma non allungava la manina con il soldo, preso dalla tenerezza, capitava che Battista improvvisasse dei giochini di abilità per dar loro una possibilità. Il premio in palio era il tanto agognato gelato.
Inutile dire che, alla fine, tutti i bambini in castigo erano ritenuti dal giudice assolutamente meritevoli.
Lisy si fece raccontare così tante volte la storia del bimbo poverello che non poteva comprare il gelato da poterla recitare a memoria, con la medesima voce nostalgica di Battista e con le sue precise parole: «Erano tempi difficili, bimba mia. Molti dei miei clienti in erba non potevano comprare il gelato. Se erano in compagnia, mi facevano ammattire. Quando poi, in tempo di guerra, avevo il carretto con la cavalla, c’era chi schioccava la frusta con il pericolo di colpire i clienti. Chi la punzecchiava per vederne le reazioni, chi le dava la voce e nello stesso tempo strattonava le redini per farla partire. Era inutile richiamarli all’ordine, e se mi arrabbiavo era peggio, si divertivano ancor di più. Fra tanti bambini ne ricordo uno, di famiglia numerosa, che non mi rammento abbia mai comprato un gelato, mentre i suoi compagni ne mangiavano magari più d’uno. Lui si appartava alla chetichella e, accarezzando la criniera della cavalla, le parlava sommessamente. Oppure, alcune stagioni più tardi, faceva finta, non visto, di controllare se le gomme del nuovo furgone fossero flosce. Io, che con la coda dell’occhio lo osservavo, lo chiamai e gli offrii, gratis, un gelato. Lui si schernì rifiutandolo, sapendo che non avrebbe potuto pagarlo, ma io insistetti dicendogli: “Prendilo, macaco, me lo pagherai un’altra volta!”, e sottolineai quest’ultimo particolare per non ingelosire i compagni presenti e dar adito a precedenti. Ricordo che, nel prendere il gelato, non seppe trattenere le lacrime. Quelle lacrime commossero anche me e mi convinsero che la fratellanza e l’amore verso il prossimo sono valori fondamentali nella vita».

Un gelato gratis era anche, a volte, il premio messo in palio quando attorno al carretto facevano la fila interessanti esemplari appartenenti al genere femminile.
Battista non si lasciava certo scappare piacevoli momenti di sensualità. A volte si presentava davanti alla fabbrica di orologi proprio al momento della pausa. Il premio in quel caso se lo aggiudicava la fanciulla che aveva le gambe più belle…
Incredibile! Nonostante la pudicizia tipica di quegli anni, la gola prendeva il sopravvento e, con apparente disinvoltura, in un battibaleno tutte alzavano, per qualche secondo, le gonnelle!
«Sacranon» deglutiva «sacranon!»

La voce si sparse tanto velocemente che, inaspettatamente, alle pause delle orologiaie vendette parecchi gelati anche agli uomini. Operai, impiegati, nullafacenti o insospettabili dirigenti in doppiopetto blu erano puntuali come gli orologi fabbricati dalle spudorate operaie! Segno che la sensualità delle donne smuoveva facilmente, anche allora, il genere maschile.
E questo Battista lo sapeva bene! Aveva strategie di marketing per promuovere il prodotto che non necessitavano di grandi investimenti, né spreco di carta per volantini o manifesti. Il suo motto era: «Un buon prodotto, un briciolo di astuzia e tanta fantasia».

L’ultimo giro di vendita nei paesi Battista lo fece nel 1963, a 75 anni compiuti, in compagnia del figlio Angelo, al quale aveva ormai insegnato tutti i segreti del mestiere.

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