Arte

Genova, presunta truffa Modì: 'Opere senza documentazione'

Secondo gli investigatori, quasi la metà 'non avevano documenti che ne attestassero i passaggi di proprietà o l'autenticità o se c'erano non sono stati esibiti'.

Il processo è in corso (Keystone)
21 marzo 2021
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A parlare è uno degli investigatori del Nucleo tutela patrimonio dei Carabinieri sentito come teste lo scorso 19 marzo nel corso del processo per i presunti falsi dipinti di Modì esposti a Palazzo Ducale: quasi la metà delle opere di Modigliani sequestrate a Genova durante una mostra nel 2017 “non avevano documenti che ne attestassero i passaggi di proprietà o l'autenticità o se c'erano non sono stati esibiti”. Il militare aggiunge: “Una circostanza piuttosto strana per un mercante d'arte quella di non avere le documentazioni”. 

Gli accertamenti scattarono nella primavera 2017, a mostra in corso, dopo la denuncia del critico Carlo Pepi. Tra i testimoni-chiave venne individuato l'esperto francese Marc Restellini che puntò subito il dito contro Guttman. A processo, per truffa, falso e contraffazione di opere, ci sono Mondo Mostre Skira, che organizzò l'esposizione, il presidente Massimo Zelman, il direttore Nicolò Sponzilli e la dipendente Rosa Fasan; con essi  Joseph Guttman, mediatore originario dell'Ungheria con base a New York e proprietario di molte delle opere sequestrate, e i ticinesi Rudy Chiappini, curatore della mostra, e lo scultore Pedro Pedrazzini, proprietario di un ‘Ritratto di Chaim Soutine’ che secondo gli investigatori lo tesso ‘piazzò’ come autentico pur sapendolo falso. Alla ‘Regione’ del 30 gennaio di quest'anno, a margine dell'inchiesta di Falò, Chiappini – già direttore del Museo d'arte moderna di Lugano e dei Servizi culturali della Città di Locarno – ribadiva “la totale correttezza del mio operato e la scelta conservativa di esporre opere già più volte pubblicate ed esposte in mostre internazionali”; nella stessa occasione, Pedrazzini si dichiarava vittima del “solito scontro fra expertises”, ovvero le divergenze tra gli esperti Marc Restellini e Christian Parisot sulla paternità dell'opera, negando di averla mai voluta vendere.

Le perizie hanno stabilito che 20 opere, un terzo di quelle esposte, erano false. Secondo gli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo D'Ovidio, attraverso l'esposizione alla mostra si voleva rendere autentiche delle opere false per acquisire una maggiore quotazione e rivenderle a prezzi stellari nel centenario (caduto lo scorso anno) della morte di Modì.

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