Da Luino a Cannobio, da Al Fadhil a Lorenza Morandotti dall'Uomo in ascolto a un'epoca di NON
Prima di prendere il battello da Luino per Cannobio, qualche mese fa era possibile, ho pensato ai luoghi, a quelli vissuti. Al viale dai grandi platani, al porto vecchio punto di raduno e bivacco, fino alla strada che sale verso la chiesa facendo intravedere cortili, case di ringhiera. Staccando dalla riva osservo il corpo dei gabbiani gravitare in un tempo indefinito, sfiorandosi. Guardo l’altra riva. Segnati dall’immagine della strada gli occhi seguono la processione della materia; rocce, boschi, canaloni. La natura serra le strutture della vita, la fila di alberi intorno a un magazzino, poi tratti selvaggi, puri. Saranno questi i limpidi costruttori del nostro futuro se li sapremo rispettare?
Siamo in movimento, le persone escono all’aperto, intanto incrociamo un battello più grande in direzione di Ascona. Suona tre volte, saluta. Ognuna delle nostre terre ha un lago piccolo o grande, una cornice fatta di risvegli accolti dalla virtù dei colori, dai volti che portiamo nella notte, soli. Lasciamo tracce, le dimentichiamo, poi una voce. Ciao, ricordi? Il fatto è se hai voglia di voltarti oppure andare avanti mantenendo il pensiero che avevi prima, l’immagine, quella di fiumi che scavalcano montagne, veloci, una parte di mondo dove tutto può cambiare, venire meno, irrompere.
In alto il nucleo di un paese. Perdo la linearità dei cancelli e degli spazi intorno ai muri a secco, poi fiori, tanti, i prati ne sono avvolti, trattengono le radici negli interstizi. Case estive, umidità, le persone che si preparano a scendere. Arriva il momento dei gesti che sembrano ripetitivi, noiosi; controllare lo zaino, le tasche, scendere senza fretta. Respiriamo. Il respiro diventa modo per toccare l’acqua, i paesi circostanti, è ascolto di sussurri nella vegetazione intorno al molo. Parlano di ombre, pescatori che lanciano la rete in lontananza. Forse ci risvegliamo da un sogno. “Ci desteremo sul lago a un’infinita/navigazione. Ma ora/nell’estate impaziente/s’allontana la morte…”. Così, Vittorio Sereni.
Percorro la cantonale fino al Lido di Maroggia; è freddo, qualche mamma nella luce di metà pomeriggio. Qui, nel 2015 ‘Rumori d’acqua’, esposizione d’arte contemporanea voluta dal Municipio di Maroggia e curata dall’artista Al Fadhil. Arrivando al pontile ecco la scultura in ferro di Eftim Eftimovski. Titolo: ‘L’uomo in ascolto ’. L’uomo piega leggermente sul lato destro, la mano all’orecchio. Lo tende verso qualcosa o qualcuno, una volontà d’abbandono. Girandogli intorno colpisce l’attenzione di uno sguardo devoto, vegliante a ogni ora del giorno. Mi sono detto: ti sta vedendo, non può dire nulla perché preda di un dolore antico, quello dell’umanità, il sentimento dell’erranza. Apre un dialogo con lo sguardo; pontile, lago, folaga. Appostamento di pescatori vigili, la parte silenziosa del loro lavoro. L’ascolto dell’uomo sulla riva non è solo frutto di un tempo verticale figlio dello scorrere, ma luogo d’attesa e destino. Sono i bambini rimasti soli, le ferite della malattia, le persone che hai visto oggi alla stazione, sparse. L’uomo coglie lo scorrere dell’acqua, il passo dei visitatori, le spirali sotto i tombini, le falde, le emergenze floreali. Può parlare? Forse. Ma se lo fa chiede anche lui di essere ascoltato per cui dobbiamo tendere l’orecchio, destro o sinistro non importa, ripiegando un po’dalle certezze. “Essere feriti è vedere oltre”, dice con parole lievi. Su questa striscia di lago tutto è rinvio e incontro, l’ora per fermarsi. L’opera, posta tra il parco e il litorale cattura, invita a guardarla scivolando in punti diversi, i mille piani di cui parlava Gilles Deleuze, l’immagine nel suo riverbero e ‘presente vivente’. In questo senso l’immobilità dell’uomo in ascolto è il segreto della sua espansione, l’apparente staticità si fa memoria, paesaggio. Ascolto che è sentire e risentire, suono rilkiano, vita e oblio dell’essere.
Con la scultrice, ceramista, Lorenza Morandotti, ho in comune diversi momenti conviviali, tra cui una passeggiata nella radura di Lanzo d’Intelvi alla scoperta (mia) di un suggestivo masso erratico, così importante nel lavoro di ricerca dell’artista milanese. La ricordiamo anche per la mostra ‘Toccare l’origine e oltre’ a Stampa, Rimessa Castelmur, luglio 2019. NON, presso la Galleria Francesco Zanuso di Milano, 3 – 25 marzo, (+39 3356379291) è l’ultima prova affrontata. Il titolo non sta a indicare una negazione, ma qualcosa che regge ciò che esiste.
Raggiungo Lorenza a poche settimane dall’inaugurazione. Mi sembra che la tua ricerca vada all’essenziale della materia e del sentimento. “L’essenziale per me è il prodotto di una ricerca a togliere, è arrivare in un luogo che non è costruibile. C’è già, va solo visto, riconosciuto e onorato, togliendo il superfluo. È riuscire a trovare in ciò che è già un messaggio importante. Sicuramente la capacità di sguardo va esercitata, come i sentimenti. Stiamo vivendo un’epoca di NON, questa è una buona occasione di pratica”. Dal masso erratico, dalla sua storia, cerchi di vedere l’universale dentro le cose minime. I punti essenziali. “In effetti mi sorprende sempre quanto microcosmo e macrocosmo riescano ad assomigliarsi. Ho visto foto di galassie rimpicciolite e foto di cellule ingrandite che riescono ad avere configurazioni simili. Anche l’infinito minimo della nostra vita terrena individuale con tutta la sua ricchezza di sentimenti e gesti quotidiani trova conferma e contemporaneamente si dissolve nelle immensità di testimonianze antiche. I punti essenziali sono irrinunciabili e trasversali; se trovati, in un certo senso uniscono”.
Il tuo lavoro passa da acquarelli, ceramica, tessuto, vedi Cosmos flag. E ancora, marmo e bronzo. Un campo di linguaggi esteso. “In anni di lavoro non mi sono accorta di avere variato tanto. Guardando indietro è innegabile. Ogni materia porta in sé la sua storia nella sua fisicità, comunica ancor prima di incarnare le mie intenzioni. Si apre un dialogo in cui la materia dice la sua e io la mia e ne usciamo entrambi arricchiti, come ogni vero dialogo. La fatica che ho fatto per arrivare alla ricchezza della semplicità ha coinciso con lo sforzo di ricerca di senso del nostro esistere. In fondo è una domanda antica; ho trovato nell’archetipo la sintesi dello sforzo universale”.
L’uomo sul lago continua a vegliare nonostante la forza della notte, ora che nessuno è qui. Fanno visita le solitudini senza nome, uomini e donne naufraghi dopo tanto navigare, derive. Ci riconosciamo? Paul Eluard: “Non je dors et malgré le pouvoir de la nuit/J’apprends comme un enfant que je vais m’éveiller”.