Cinema

Trieste Film Festival, ripensare all'est

Nella città cara a James Joyce, il film straordinario di Piotr Domalewski, il maestro lituano Sarūnas Bartas e Charles Aznavour

‘Jak Najdalej Stąd’ (Non piango mai) di Piotr Domalewski
27 gennaio 2021
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Il 32esimo Trieste Film Festival, in pieno svolgimento nella città cara a James Joyce, è da sempre uno degli appuntamenti più provocanti del panorama cinematografico del vecchio continente, per la sua capacità di mostrare una realtà, quella dell'Est Europa, ancora drammaticamente vista nella nostra parte ‘occidentale’ come ‘oltre cortina’. Una cortina che ha a Trieste la sua porta d’ingresso da oltre trent’anni, sfidando problemi politici, civili e sociali, testimoniando il peso della guerra fredda, della caduta del Muro, della guerra nei Balcani, delle tante crisi umanitarie, un tutto cui le cinematografie dell'Est non restano indifferenti e proprio qui meglio si comprendono. Comprese quelle di oggi, dei migranti nell'inverno della ex Jugoslavia, quella di una guerra assurda come quella del Nagorno Karabakh. Un Festival che, pur in una nuova formula imposta dall'emergenza sanitaria Covid-19 – gli oltre 50 titoli in programma si potranno vedere online su MYmovies – non dimentica la sua missione di conoscenza. Piotr Domalewski, uno dei registi in Concorso, l’ha sottolineata: “Trieste ci dà la possibilità di essere visti”.

Per film che non hanno i nomi per i tappeti rossi, che puntano a un linguaggio che non sia televisivo, il difficile è proprio essere visti. Bene ha fatto la direzione del Festival a chiuderli tra due titoli non di retrospettiva ma di estrema attualità. Ad aprire il festival è stato ‘Underground’, Palma d'oro a Cannes nel 1995, opera di un Emir Kusturica che affronta l’insoluta dissoluzione della Jugoslavia, mentre nella serata finale si vedrà ‘Lo sguardo di Ulisse’ di Theo Angelopoulos, vincitore del Grand Prix in quella stessa edizione e che ancora parla dello stesso tragico evento e del bisogno del cinema per ricomporre un futuro. Un futuro a Est che necessariamente parte dai giovani e dalla loro capacità di pensarlo. E in questo senso abbiamo trovato finora, tra tanti buoni e non rinunciabili film in Concorso, un film straordinario come il polacco ‘Jak Najdalej Stąd’ (Non piango mai) di Piotr Domalewski. Il film ci mostra Ola (una magnifica e intensa Zofia Stafiej), una adolescente come tante, che alla scuola preferirebbe il lavoro per aiutare la famiglia; a lei piace bere, fumare, stare con gli amici, giocare sui social; il suo ragazzo si mostra mezzo nudo e vuole che lei si mostri altrettanto, ma non la conosce, perché anche lei non si conosce. Vive con la madre e un fratello handicappato grave che lei ama profondamente. Succede che il padre, che lavora all'estero, in Irlanda, muoia sul lavoro e che tocchi a lei andare a prenderne il corpo. In Irlanda trova altri giovani come lei, ma soprattutto trova la voglia di lottare per capire perché suo padre è morto e per capire chi era quell'uomo detto “suo padre” morto per colpa della fabbrica in cui lavorava, pieno di amici, con una nuova compagna che sognava un futuro insieme. Il suo è un cammino d'iniziazione alla consapevolezza del vivere che non è il mostrare il suo seno sui social o sopravvivere banalmente. Oltre Ken Loach.

Gran cinema, e ancora in Concorso, un maestro come il lituano Sarūnas Bartas  con ‘Sutemose’ (Al crepuscolo), un film che doveva essere in Concorso a Cannes 2020, l'edizione sospesa. Il regista, con un film dolente e colorato d'autunno, ci riporta nella Lituania del 1948 per dirci del destino del diciannovenne Untė (un intenso Marius Povilas Elijas Martynenko). Siamo in una tenuta di campagna, la grande casa padronale è dominata da Jurgis Pliauga (un bravissimo Arvydas Dapsys), personaggio falstaffiano che il giovane chiama “padre” e che resta estraneo al problema di un paese, la Lituania dominata dai sovietici e con i partigiani che li combattono. Untė cerca la propria identità e poi si trova a lottare con i partigiani contro chi nega la libertà del suo paese. A Bartas non interessa fare un film patriottico, il suo è uno sguardo attento sugli uomini e sul loro faticoso provare a essere. Il giovane tra i partigiani trova traditori, esaltati e mediocri insieme a veri uomini e anche i nemici esistono con i loro difetti e con le loro qualità. Sarūnas Bartas  immerge tutto nell’impassibile natura si immedesima nel suo sguardo eterno, lo sublima. 

La Storia riappare ancora in Concorso con ‘Francuz’ (Il francese) del russo Andrej Smirnov, un film in bianco e nero che racconta il viaggio di un giovane, Pierre Durand (un interessante Anton Rival) che dalla Francia, alle prese con la crisi algerina, si fionda nell'Unione Sovietica del 1957 che ancora paga il peso staliniano, per un viaggio che è alle sue radici, alla ricerca di un padre mai conosciuto. Un viaggio nella densa Storia di un secolo, il XX, troppo denso di storie. Storie che riaffiorano nel destino del protagonista narratore di ‘Beynimdəki Mismarlar’ (Chiodi nel mio cervello), l'azero Hilal Baydarov, un intenso e coinvolgente viaggio tra le rovine dei luoghi e della mente. Storie che mostrano anche il lato più roseo di quel secolo con ‘Le Regard de Charles’ (Lo sguardo di Charles) di Marc di Domenico e Charles Aznavour, non l'ultimo film del grande Aznavour, ma il montaggio dei film privati con cui, con preziosa insistenza, il grande artista ha testimoniato la sua vita. Un film di allegra malinconia ritmato dalle sue indimenticabili canzoni. E il Festival continua.

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