Culture

L’uccisione di Carlo Saronio secondo Mario Calabresi

La morte, negli Anni di piombo, del giovane milanese rapito da estremisti di sinistra nel libro ‘Quello che non ti dicono‘

26 dicembre 2020
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Un libro davvero importante e bello ci riporta ai tremendi equivoci e ai paradossi degli anni Settanta, degli anni di piombo e sangue, costellati dalla violenza di una idealità troppo spesso velleitaria e animata da una più o meno inconsapevole ansia di mascherato protagonismo. L’autore è Mario Calabresi, che in ‘Quello che non ti dicono’ (Mondadori, p.202, €. 18) racconta la vicenda del sequestro e dell’uccisione di Carlo Saronio nel ‘75.

La vittima era un giovane ingegnere di 25 anni appartenente a una ricca famiglia milanese che abitava in uno dei luoghi più eleganti della città, in corso Venezia, ed era un ragazzo sensibile che avvertiva nella diseguaglianza sociale di cui si rendeva conto quotidianamente – trovandosi dalla parte dei privilegiati – non un utile mezzo da sfruttare a proprio vantaggio, ma qualcosa di ingiusto che lo metteva in difficoltà, lo angustiava umanamente come un senso di colpa. Per questo si avvicinò sensibilmente, fino a compromettersi, con gli ambienti di quella che era allora la sinistra estremista, extraparlamentare e rivoluzionaria. Innumerevoli sono le figure e i gruppi rimasti molto noti che l’autore introduce. Tra cui Potere Operaio, dove Saronio trova il “professorino”, cioè Carlo Fioroni, che ha qualche anno più di lui ed è molto ideologizzato e determinato. Arriva anche a nasconderlo in casa sua, e alla fine ne pagherà nel più atroce dei modi le conseguenze. Verrà rapito (con la partecipazione al sequestro di una banda di delinquenti comuni) per ottenere un riscatto dalla famiglia e fatto morire per l’incapacità criminale dei rapitori. Per narcotizzarlo usarono infatti “uno straccio imbevuto di toluolo, contenuto in uno smacchiatore o in un solvente comprato in un colorificio” in quanto più facile a trovarsi rispetto al cloroformio. E Carlo andò in coma e morì. Ma il corpo fu ritrovato molto più tardi, nel ‘78.

Chi ha una certa età e ha dunque vissuto quegli anni non ne ha certo perso il ricordo, nonostante la terribile frequenza di simili episodi nell’epoca. Ma Calabresi (nato nel ‘70) ha il merito di essersi impegnato a fondo con passione – certo non solo per la sua storia personale –, di aver cercato con pazienza documenti, cose e persone in grado di far riemergere la trama intricata degli accadimenti che portarono Saronio alla fine. Era ancora un ragazzo e otto mesi dopo la morte sarebbe nata sua figlia Marta, che l’autore incontra e in modo decisivo per la sua scelta di andare a fondo dei fatti, di ricostruirli finalmente e scriverne questo libro. Calabresi ci riporta alla fuga e alla condanna degli artefici, con l’arresto in Svizzera del Fioroni di cui ci offre una riapparizione in tempi recenti, a Lille, dove si era rifugiato cercando improbabili vie per una nuova identità attraverso la poesia e la pittura.

Calabresi realizza un libro che esce da una dimensione di genere, che si fa insieme ricognizione storica e percorso narrativo. Un valore del libro è anche nella esemplare sobrietà del racconto, pur se il forte sentimento che lo ha condotto a scriverlo è ben vivo e autentico. Una sobrietà che è frutto di una onestà intellettuale e grazie alla quale non affiora mai neppure un’ombra di retorica. I fatti furono di tale netta evidenza nella loro assurda concatenazione tragica che da se stessi si offrono a un giudizio tanto chiaro e grave da rendere persino inutile l’esprimerlo.

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