Culture

Come si dice lìdatè? Il Cantone indaga le varietà dell’italiano

L’indagine sociolinguistica si aggiorna con un sondaggio online. Ne parliamo con Laura Baranzini dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana

22 novembre 2020
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Le lingue cambiano non solo nel tempo ma anche nello spazio. Il pensiero va subito agli “elvetismi”, alle particolarità linguistiche che distinguono l’italiano della Svizzera da quello degli altri territori. Ma il progetto lìdatè (acronimo di “l’italiano dal territorio”), presentato nei giorni scorsi dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport e che si occupa, appunto, di studiare queste variazioni territoriali, guarda oltre. «Dal momento che lavoriamo per l’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana abbiamo uno sguardo particolarmente attento sulla varietà svizzera dell’italiano però l’idea è, potenzialmente, coprire tutte le varietà geografiche dell’italofonia» ci spiega la sociolinguista Laura Baranzini che con Matteo Casoni si occupa di lìdatè. «I dati che ci provengono dalla Svizzera italiana e dalle aree di confine dell’Italia settentrionale ci interesseranno particolarmente perché ci permetteranno di tracciare i confini precisi della varietà svizzera dell’italiano, su cui non sappiamo tantissimo. Per alcuni termini il confine corrisponde a quello politico, ma per altri, penso soprattutto a quelli di matrice dialettale, non necessariamente».

Scopo è quindi studiare queste variazioni, capire – è uno degli esempi – in quali zone l’azione deliberata di saltare le lezioni si chiama “bigiare”, in quali “marinare”, “fare filone” o altre espressioni ancora (il dizionario Treccani riporta “fare forca o sega o cuppo o salina o fughino o lippe o manca o vela”). Come? Chiedendolo ai parlanti stessi sul sito www.lidate.ch, tramite sondaggi e mostrando poi i risultati su delle mappe. Ci sono inoltre dei quiz mensili (con tanto di premi) che non fanno parte dell’indagine ma vogliono stimolare la riflessione sulle lingue e divulgare alcune conoscenze di base. 

Per capire la diffusione geografica di certe espressioni non si potevano analizzare delle raccolte di testi? «Studiando dei testi già scritti non è detto si riesca a ottenere una fotografia della lingua realmente parlata dalle persone» ci spiega Baranzini. Il contesto della lingua scritta è diverso da quella parlata: per tornare all’esempio di prima, in un testo è più facile essere assenti ingiustificati che bigiare. Per questo «in sociolinguistica l’inchiesta è il metodo di indagine di base: un tempo per disegnare gli atlanti linguistici si girava il territorio muniti di questionari con un certo numero di termini, espressioni e frasi».
Il progetto lìdatè aggiorna questa metodologia: «Pensiamo che la tecnologia ci permetta di trasformare questa inchiesta sociolinguistica, di renderla più diffusa, capillare e veloce chiedendo direttamente alle persone, ai parlanti di partecipare».
Non rischia di esserci un problema di selezione, di raggiungere solo alcune fasce di popolazione ottenendo quindi una fotografia parziale? «Sì, è un rischio di cui siamo consapevoli e che riguarda tutte le operazioni di questo tipo. Abbiamo cercato di ampliare il più possibile l’utenza, ad esempio creando non una app per smartphone, ma un sito accessibile quindi da più dispositivi». Inoltre al momento dell’iscrizione si traccia un profilo abbastanza completo, chiedendo fascia di età, livello di istruzione: «Così sapremo se un gruppo sociale o una fascia d’età sono rimasti fuori dall’inchiesta e non correremo il rischio di attribuire a tutti i parlanti aspetti che riguardano invece solo una parte».
Obiettivo, come detto, è studiare come la lingua cambia nello spazio; tuttavia viviamo in un’epoca con un’elevata mobilità e oltretutto molte esperienze linguistiche sono “extraterritoriali”, dalle trasmissioni radio e tv ai social media. «Sono aspetti che rendono più complicato il nostro compito» conferma Baranzini. Per gestire questa ricchezza del background linguistico dei parlanti si è fatto di nuovo ricorso a una profilazione più completa possibile, chiedendo ad esempio se la persona ha vissuto più di un anno in un’altra regione italofona, quale lingua si parlava nel contesto familiare eccetera. «Per le mappe ci basiamo sostanzialmente su un’autovalutazione: è il parlante stesso che decide dove è localizzato il suo italiano. È chiaramente una semplificazione, ma avendo altri dati sul suo percorso potremmo capire perché magari c’è un dato discordante con gli altri».
Qual è l’orizzonte temporale del progetto? «Abbiamo tantissimo materiale» spiega Baranzini, riferendosi a espressioni e termini che sono particolarmente soggetti a variazione geografica. «Se volessimo anche solo testare le variazioni svizzere, e non è quello il nostro obiettivo, potremmo andare avanti decenni». Per ora è prevista una prima fase di due anni «anche per vedere se la partecipazione è attiva e continua», poi si vedrà. «Più risposte avremo più i risultati saranno significativi; dipende anche da quanto riusciremo a diffondere il progetto al di fuori dei confini della Svizzera italiana». 

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