Culture

Cultura vs governo: ‘Serve confronto, per il bene di tutti’

In nome del dialogo, a nome degli indipendenti, Cristina Galbiati, regista e autrice indipendente, membro di t. (Professionisti dello spettacolo Svizzera)

'Siamo entità che stanno lavorando per il medesimo obiettivo' (Cristina Galbiati)
13 novembre 2020
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È stato il giovedì del dopo-Lac gambe all’aria, ma anche dell’estensione sino al 31.12.2021 degli aiuti di Suisseculture Sociale, nell’ambito della Legge Covid-19 Cultura, che arriva a mitigare la ‘Guerra dei 5 posti’ (dalla tanto discussa capienza delle sale), condotta senza armi – magari una parola più affilata del normale – dal mondo della cultura unito come non mai. Questa pagina ospita nuove voci. A partire da quella di t. (tpunto.ch), ovvero Professionisti dello spettacolo Svizzera, associazione nazionale di categoria di coloro che operano professionalmente nella scena teatrale indipendente. Nel suo comitato c'è Cristina Galbiati, regista, autrice e creatrice indipendente, co-fondatrice e direttrice artistica di Trickster-p (Premio svizzero del teatro 2017).

Cristina Galbiati: quali strascichi hanno lasciato le ultime vicende?

Purtroppo hanno lasciato l’amaro in bocca. Ma voglio fare una premessa: la lettera aperta non chiedeva di riaprire i teatri a tutti i costi, perché non si è mai voluta negare l’esistenza di un’emergenza sanitaria. Si chiedeva il riconoscimento di un settore. Un riconoscimento che copre molti aspetti. E questi trenta spettatori rischiano di suonare come un contentino che ignora l’effettiva problematica. Dal lato pratico, per intenderci, con 30 spettatori per noi cambia poco. Forse sarebbe invece il momento di analizzare la situazione e capire come possiamo andare avanti, visto che con tutta probabilità questa situazione si protrarrà più a lungo del previsto.

Gli indipendenti stanno vivendo un secondo lockdown. Le misure prese a livello ticinese e di Confederazione possono ritenersi ancora sufficienti?

Esattamente come quelle di marzo, le misure, approvate sino alla fine del 2021, sono state tempestive, ma messe in atto in un momento in cui nessuno, nemmeno la politica, poteva presagire che la crisi sarebbe stata così rapida e diffusa. All’orizzonte alla peggio c’erano focolai, singole chiusure, non di certo una crisi a livello nazionale tale da far chiudere i teatri su scala così ampia. C’è però un problema e cioè che alcune misure di natura macroeconomica non specifiche per il settore cultura come, per esempio, il lavoro ridotto o l’Ipg (Indennità perdita di guadagno) avevano già dimostrato di avere delle falle laddove applicate in ambito culturale. È proprio di questi giorni la notizia di artisti e strutture che avevano fatto richieste in tal senso nel mese di marzo, tenuti in sospeso per diversi mesi, che stanno ricevendo un ‘no’ o perché strutture parzialmente finanziate pubblicamente o perché hanno dei contratti che prevedono delle clausole di forza maggiore. E se il settore non viene sostenuto da queste misure macroeconomiche, allora è il disastro.

Misure alle quali accedere non senza difficoltà…

In alcuni casi, sì. La nuova ordinanza Covid Cultura, per esempio, esclude dal lavoro ridotto i lavoratori con contratto a tempo determinato, che sono la maggioranza in campo culturale. Mentre, diversamente da quanto accadeva in primavera, se a chiedere l’Ipg sono i lavoratori indipendenti, ora devono poter dimostrare un reddito inferiore al 55% rispetto ai 5 anni precedenti.

Si tratterebbe, quindi, di allargare le maglie. Perché a questo punto è davvero questione di sopravvivenza…

E infatti qui, forse, c’è il grosso equivoco. Pur consapevoli del ruolo sociale del nostro mestiere, gli artisti non stanno rivendicando il diritto di tornare in scena per il gusto d’intrattenere il pubblico. Gli artisti stanno rivendicando che molti della categoria non riusciranno più ad arrivare alla fine del mese. Gli aiuti d’emergenza di Suisseculture Sociale di fatto sono equiparabili all’assistenza e mettere un settore praticamente in assistenza non significa solo chiedersi come tirare a fine mese, ma anche avere pesanti ripercussioni di natura psicologica e sociale.

Un altro dei problemi che avete sempre segnalato è quello della burocrazia…

Quello della burocrazia è un aspetto che resta complicatissimo, senza imputare nulla agli uffici preposti, costretti anch’essi a fronteggiare una situazione radicalmente nuova. Come già accaduto questa primavera, e si verificherà ancora, burocrazia significa perdersi in un ginepraio di categorie professionali con statuti spesso ibridi, a volte collocabili a fatica in una categoria piuttosto che in un’altra; significa fare conteggi che di norma competono a chi possiede davvero una struttura amministrativa forte. In qualche modo, scendiamo dai palcoscenici per metterci in un lungo tunnel buio…

Uno dei concetti che è emerso negli scorsi giorni, a margine della lettera aperta, lo riassumo citando l’arpista Elisa Netzer: “Noi non abbiamo un Suter”, inteso come qualcuno che alzi la voce per voi…

Voglio innanzitutto dire che, per la prima volta in Ticino, quella lettera aperta ha creato un fronte unito, ha ricomposto la frattura tra teatri istituzionali e teatri indipendenti e, soprattutto, sta creando nell’opinione pubblica l’attenzione a considerarci come ‘professione’. Forse proprio ora è arrivato il momento di renderci conto che questa rappresentanza è necessaria. A livello nazionale, in verità, siamo messi meglio, cosa che lascia l’amaro in bocca per le ultime decisioni prese a livello cantonale, perché il consigliere Berset, prima di abbassare il limite di spettatori a 50, ha avuto molti contatti con le associazioni. Dunque non si contesta la decisione del CdS in sé, ma il metodo.

Dal CdS non c’è stata alcuna replica alla vostra lettera. Se non un invito a leggere meglio le nuove disposizioni per chiarirvi i dubbi su una comunicazione del governo, almeno, poco chiara…

Forse non è stato colto un invito che non era rivendicativo, ma conteneva in sé anche l’offerta di mettere in comune competenze e specificità che il mondo politico può non avere o che non è nemmeno tenuto ad avere. È lì il nodo di questa frattura. Non siamo due controparti, stiamo cercando una soluzione che faccia funzionare un sistema comune. Siamo tutti consapevoli della gravità della situazione, non neghiamo che gli ospedali siano pieni. Stiamo solo dicendo che noi conosciamo l’humus culturale nelle sue specificità e forse si potrebbe fare una riflessione comune com’è stato fatto altrove. Perché altrove è stato fatto.

Maglie più larghe, meno burocrazia. Ci sono riusciti persino in Italia…

Fino a ora gli aiuti specifici sulla cultura hanno funzionato bene. Gli aiuti sociali di Suisseculture sono simili a quelli che sta menzionando. Oltre a questo, è in fase di firma una compensazione per gli spettacoli cancellati. Gli strumenti esistono e sono fiduciosa sul fatto che verranno messi in atto. A questo proposito, ho sentito dire che i cinque spettatori sarebbero una scusa del governo per non compensare economicamente il danno. A me sembra un’interpretazione, voglio sperarlo, un po’ estrema. Non credo sia così. Siamo, rispetto all’Italia, un paese che ha un sistema sociale che ha funzionato e funziona. Il passo che si può fare in più è proprio quello del dialogo, per renderlo davvero efficiente nelle diverse specificità.

Il mondo dello spettacolo, va detto, è anche parte del ‘sommerso’. Sarebbe un po’ troppo semplicistico dire ‘adesso si arrangino’…

E infatti questa situazione ha scoperchiato la pentola. Quando parlo di professionalità, non a caso, mi riferisco a questa. Lascio da parte per un attimo la qualità artistica, pur fondamentale. È chiaro che chi negli anni ha versato la metà dei contributi perché faticava, ovviamente ora non può rivendicare nulla. Questo è proprio il discorso che noi portiamo avanti come associazione di categoria: il riconoscimento di una professione passa da queste cose, dalla responsabilità di tutti di riconoscersi professionalmente e di pretendere di avere le cose in ordine. Per quanto non saranno mai salari al pari di altri settori economici, è vitale.

Cosa chiedete, ora, alle istituzioni?

Chiediamo il confronto, quanto meno, ma in senso positivo. Siamo entità che stanno lavorando per il medesimo obiettivo. Anche perché, non dimentichiamolo, la cultura vive in gran parte di denaro pubblico e la possibilità che un settore culturale resti in piedi e continui a funzionare, o si fermi se indispensabile ma senza essere spazzato via, è nell’interesse di tutti.

 

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