Culture

Da cinque a trenta, Helbling: 'Il nostro non è dopolavoro'

Il direttore del Sociale, firmatario della lettera aperta e amareggiato per una decisione 'pasticciata': 'Lo shopping del sabato è più indispensabile di noi?'

Gianfranco Helbling (Ti-Press)
10 novembre 2020
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Domenica erano cinque. Questa sera sono trenta. Il Consiglio di Stato torna sui suoi passi ed equipara il rischio degli eventi culturali a quello delle cerimonie religiose, autorizzando trenta persone ad assistervi. Sempre che si riesca a recuperare le date già annullate in base alle direttive emanate domenica. In mattinata, l'indignazione della categoria stava tutta in una lettera aperta firmata da oltre settanta realtà del mondo culturale ticinese, dal Sociale al Paravento al Foce, da Dimitri al Lac al Cinema Teatro di Chiasso, dal Teatro di Locarno a quello delle Radici, dalla Compagnia Finzi Pasca a quella di Flavio Stroppini, e i singoli artisti, Cainero, Hutter, Aviles e molti altri. Questo elenco è un ridottissimo estratto, perché i nomi sono tanti e tutti, grandi e piccoli, importanti. Una voce per tutti: Gianfranco Helbling, direttore del Teatro Sociale e membro di Comitato dell'Unione dei Teatri Svizzeri.

Gianfranco Helbling. Si esagera se si dice che cinque persone a evento sarebbe stato un concetto un tantino offensivo per la vostra categoria?

La mia impressione è che il Consiglio di Stato domenica con il limite di 5 spettatori abbia voluto stabilire una regola generale valida per tutte le cosiddette manifestazioni e non si sia reso conto della moleplicità di situazioni diverse l’una dall’altra, che chiedono e meritano risposte diverse. Voleva una soluzione semplice e per finire ha complicato molto le cose, con un risultato estremamente penalizzante per il nostro settore. Resosi conto del pasticcio ha voluto fare marcia indietro, scontrandosi però con il limite che aveva imposto per le funzioni religiose. Così si è fermato a metà, pasticciando ancora di più e senza che si capisca il fondamento razionale di tale decisione. Tutto ciò fa male nel merito ma anche per come le decisioni sono state prese e comunicate. Quando domenica sera il presidente del Governo ha detto che in fondo nei teatri ci va già poca gente e quindi tenerli aperti o chiusi cambia poco, è stato poco piacevole da sentire non tanto per me ma soprattutto per le attrici e gli attori, i tecnici, i costumisti, gli scenografi e tutti coloro che ogni sera investono fatica, passione ed energia per mandare in scena uno spettacolo.

Tra i passaggi più forti della vostra lettera aperta c’è un lapidario “Non siamo un passatempo”…

Purtroppo in Ticino è ancora diffusa l’idea che i lavori della cultura e in particolare i mestieri dello spettacolo siano tutto sommato un hobby dopolavoristico tipico dei docenti e di altre categorie professionali più fortunate, ma che non sono mestieri molto seri. E quindi in questo campo si possono prendere decisioni anche un po' alla leggera. È un pregiudizio diffuso nella società che si riflette spesso sul piano politico. Così appare più facile rinunciare alle prestazioni degli operatori culturali, senza chiedersi troppo se il prodotto che forniscono sia o non sia importante per la comunità in cui viviamo.

Le corali svizzere, una settimana fa, denunciavano l’assenza di una giustificazione statistica del rischio di contagio. Concetto che compare anche nel vostro documento…

Sì, con l'aggravante che se il canto corale può di per sé rappresentare un potenziale rischio accresciuto di contagio rispetto a tutte le altre situazioni della vita quotidiana, la decisione di domenica va a colpire in maniera arbitraria situazioni che, rispetto a quel che tutti noi viviamo ogni giorno, non rappresentano in nessun modo un rischio accresciuto, nemmeno teorico. È una decisione che non poggia su nessuna valutazione di rischio oggettiva. 

Imporre cinque persone a evento non era molto distante dall’imporre una chiusura. Non aveva più senso una soluzione ‘all’italiana’ e cioè – nel bene e nel male della soluzione per tempi e importi – chiudere e predisporre indennizzi?

Forse sì. Non vorrei arrivare a pensare che si sia scelto questa strada per non doversi assumere le responsabilità sociali di una decisione di questo tipo. Di certo sarebbe stata meglio una decisione chiara, una volta per tutte. Anche perché aprire e chiudere un teatro non è come aprire e chiudere le persiane della propria camera da letto.

Responsabilità sociali che sarebbero soltanto procrastinate. Dopo questo mese di stop, in quante, tra queste 76 realtà culturali, saranno ancora in grado di firmare ancora un’altra lettera aperta?

Il problema è che non è da un mese, ma è da marzo che il settore è in pesante difficoltà. E queste firme sono soltanto la punta dell’iceberg. Se penso a tutti coloro che lavorano nei settori paralleli e affini a quello delle arti sceniche, ad esempio nel settore della musica live e dei grandi eventi, fino agli show aziendali e ai matrimoni, abbiamo a che fare con una galassia di professionisti e piccoli imprenditori che da marzo sono in affanno e non vedono il sole all’orizzonte. Francamente, non so se avremo Moon and Stars in Piazza Grande l’estate prossima. E allora sarà un anno e mezzo di lockdown per un settore professionale molto ampio. Chiudere anche i teatri in questo momento è l'ennesima mazzata in più.

Moon and Stars che non si fa potrebbe finalmente aprire gli occhi su quello che ci sta intorno…

Speriamo di non dover attendere una nuova cancellazione di un'intera stagione di eventi per prendere coscienza. Questa lettera del settore delle arti sceniche e performative è il grido d’allarme di un settore professionale e di professionisti che hanno l’impressione di non essere mai stati riconosciuti fino in fondo come tali e che ne hanno avuto la prova nella decisione di domenica, nel modo per lo meno confuso in cui è stata comunicata e nel pasticciato dietrofront di ieri.

Nel documento parlate di stupore anche perché le iniziative sono immediatamente esecutive. Intendete che il coinvolgimento per il quale in molti si sono battuti è andato disatteso?

Quando ci si trova in una situazione di crisi sanitaria e si ritiene di dover agire tempestivamente capisco e condivido che non si coinvolgano tutti i soggetti interessati dalla decisione. Il mancato coinvolgimento semmai sta a monte. Sta nella mancata conoscenza del funzionamento e dei bisogni del settore e delle risposte che esso ha dato in questa crisi sanitaria. Mi pare invece ci sia molta attenzione per tanti altri settori professionali le cui attività causano situazioni certamente più delicate dal punto di vista pandemico e che non forniscono prestazioni più essenziali di quelle che sono fornite dai teatri e dai cinema. Se penso allo shopping del sabato pomeriggio, non credo che tutti i prodotti che lì vengono venduti siano assolutamente indispensabili: eppure si accetta che nei centri commerciali si verifichino situazioni che dal punto di vista pandemico sono perlomeno altrettanto delicate che le presunte code evocate dal Cancelliere dello Stato come motivo per non permettere l’apertura dei teatri con cinquanta spettatori. È evidente che non si riconosce pieno valore sociale al prodotto offerto dalla scena teatrale: un bene materiale, in questo cantone, parrebbe sempre più importante e irrinunciabile di una prestazione culturale.

C’è anche un riferimento alle parole di Alain Berset, a quell’esigenza di socialità, cito testualmente, “anche se fortemente limitata, per il benessere psicofisico della popolazione”…

Non vogliamo e non possiamo sostituirci agli psichiatri, però tutto il tessuto sociale ed economico contribuisce al benessere di una società. Rivendichiamo soprattutto in un periodo di crisi quanto sia importante che un teatro sia aperto in una città anche se pochi ci vanno. Come luogo di costruzione di significati, come luogo di aggregazione, come indicazione che la città funziona, che resiste e vuole resistere in questa situazione. Nei teatri della Sarajevo assediata si continuava ad andare in scena anche sotto le bombe… 

Oltre la lettera aperta, sono in programma altre iniziative? 

Per il momento no. Per ora è molto bello il segnale che dà questa lettera, perché unisce davvero tutto il settore delle arti sceniche e performative, la scena indipendente e la scena istituzionale. È un bel segnale per la scena stessa e indica anche il desiderio di costruire relazioni più mature con tutti i nostri partner. Poi da cosa nasce cosa…

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