Lac

'La bottega del caffé', Goldoni che parla di noi

La borghesia del mercanteggiare così vicina ai nostri tempi 'che fa quasi paura', per il regista Igor Horvat. E con Carmelo Rifici parliamo del futuro del teatro.

Dal 9 al 14 novembre al Lac. Tutte le repliche e i dettagli su www.luganolac.ch.
4 novembre 2020
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Sotto luci per ora solo naturali, quelle della sua Sala 1, il Lac presenta una prima internazionale, ‘La bottega del caffè’ diretta da Igor Horvat (dal 9 novembre, sei repliche, fino al 14). Una prima anomala, in tempi in cui i teatri quasi non proferiscono né suono né parola, nell’anomalia dei cinquanta spettatori a spettacolo, che non è una prevendita andata male. “Troveremo il modo e nuove proposte per andare in scena e starvi vicini”. L’avevano promesso, e scritto in apertura di sito i direttori Michel Gagnon e Carmelo Rifici (artistico). Perché «ne abbiamo bisogno», spiega il secondo a inizio conferenza, confermando il cartellone sino al 6 dicembre e garantendo un altro debutto: ‘Fedra’ di Leonardo Lidi (28 novembre).

«Dall’8 al 20 dicembre – annuncia Rifici – avremo eventi più piccoli e raccolti, sfruttando la hall, ma anche la Sala. Per noi, mettere cinquanta persone tra mille poltrone non è un problema», ironia che pare anche un “chi vuole capire capisca”. Ma sempre garantendo massimo aiuto al Cantone e al Governo in caso di nuove e più restrittive disposizioni. «L’idea è quella di rimanere aperti quanto più potremo – prosegue il direttore artistico – perché mantenere una luce accesa in questo buio è importante». Al vaglio in queste ore è un progetto «più territoriale, di grande aspirazione, a metà tra tecnologia e presenza, che potrebbe diventare il ponte per superare i prossimi mesi».

Si saprà. Non ora.

sorridendo di noi stessi’

Igor Horvat ringrazia tutti. «È stato un mese di allestimento non facile, per motivi che abbiamo molto chiari. Ma siamo qui». Un ringraziamento è più speciale degli altri: «Facciamo questo spettacolo in solidarietà coi colleghi che nel mondo non lavorano, e lo facciamo con gioia e per la necessità di costruire un contraltare all’umore attuale». Horvat, emozionato, tiene a specificare la coralità di questo Goldoni dal linguaggio aggiornato, messo in bocca – lui che è nato a Faido e cresciuto a Minusio – ad attori anche ticinesi come Antonio Ballerio, Anahì Traversi e Massimiliano Zampetti. «All’inizio, su questo testo, avevo poche idee ma confuse», spiega il regista. «Ho accolto il confronto, mi sono chiarito le idee per chiarirle agli altri. E il testo s’è svelato man mano in tutta la sua meraviglia».

E il testo, scritto da Goldoni nel 1750, è incentrato sulla borghesia veneziana del tempo dedita al mercanteggiare, con l'autore che mette a nudo i lati oscuri del genere umano, denaro, azzardo, pettegolezzi, opportunismi. «’La bottega del caffè’ è scritto in epoca di rivoluzioni, francese e industriale», continua Horvat. «È l’epoca in cui si afferma una borghesia dedita al mercato, con tutte le sue declinazioni, soldi, debiti e crediti, gioco, molto, molto attuali. Goldoni disegna le radici della nostra società, quella in cui siamo immersi, quel momento, che è oggi, in cui la nostra società è chiamata a ripensarsi». Stupito da tale attualità – «Ho avuto quasi paura che una voce parli ancora, da così lontano, delle nostre dinamiche» – Horvat ha chiesto duplicità alla sua versione: «Spero di poter piantare un seme di riflessione, ma spero si possa anche, riflettendo, sorridere di noi stessi».

restando fedeli al significato’

Nel giorno della presentazione, in diretta Skype da Reggio Emilia – «Sto bene. Sono vivo» – c’è anche Emanuele Aldovrandi, che de ‘La bottega del caffè’ firma l’adattamento. «Io e Igor abbiamo lavorato molto insieme, cosa bella e importante e che rende più piacevole il lavoro», dice il drammaturgo, sceneggiatore e regista italiano, apprezzato e pluripremiato. «Di solito scrivo testi originali e mi batto per l’affermazione degli autori vivi. Ma quando mi ritrovo al cospetto degli autori morti (sorride, ndr) cerco di rispettarli come mi aspetterei da qualcuno che mettesse le mani sulla mia scrittura». Il lavoro fatto per questo Goldoni è stato «più di trascrizione che di scrittura»; è stato «selezionare le parti più dense di significato, accorciare le ridondanze e riscrivendo quelle parti meno comprensibili per il pubblico odierno, ma sempre mantenendo fedeltà ai significati». Detto della sintesi dei personaggi femminili che appaiono nell’opera, «che non sono più ‘datate’, meno orpello di tematiche a volte prettamente maschili», sollecitato da un “come la vedi” di Rifici, Aldovrandi chiude con uno sguardo dall’Emilia Romagna, che tocca la categoria tutta: «Rischiamo di perdere futuri registi, future visioni. Viviamo il rischio di azzeramento del settore. Sono felice che ‘La bottega’ sia l’unico spettacolo che debutta in Europa (ride, ndr). Viva Lugano».

L’intervista

‘Ora spazio di conforto. Ma per quanto?’

“Quando non si parla più non c’è altro che la morte”, sintetizzava a inizio conferenza Carmelo Rifici, dicendola con Carmelo Bene. «Siamo estremamente preoccupati», dice a laRegione di quei cinquanta posti che un po’ suonano come un’incongruenza: «La salute dei cittadini è la cosa più importante, ma è anche vero che le strutture in cui lavoriamo sono sicure. Se è possibile pranzare in un ristorante come mai spazi messi in sicurezza come il Lac, con una sala da mille posti, devono essere messi ancor più in ginocchio?». L'aggravante: «Essendo noi un ente autonomo di diritto pubblico, non abbiamo possibilità di ottenere indennità per perdite di guadagno. La nostra unica funzione, a questo punto, è quella di spazio di conforto. Uno spazio che serva anche a noi per sentirci utili. Mi riferisco a 80 elementi con famiglia che devono sentirsi utili oltre che lavorare. Tenere un teatro aperto fa sentire necessari». Una necessità, ma anche una richiesta: «Gli spettatori, quelli di una certa età in particolare, ci dicono che venire al Lac è un conforto. Per alcuni, l'unico».

Sulle restrizioni in sala, il malumore è in linea con quello italiano: «Direi in linea con il mondo culturale ovunque nel mondo», prosegue Rifici. «Non c’è nessuno che, pur mettendola al primo posto, non abbia detto che la salute è anche quella dell’anima e della psiche, e che privare giovani e meno giovani di luoghi di ricreazione sicuri non sia una cecità troppo grande». Rispetto all’Italia, il Lac può almeno contare su quei cinquanta posti, viene da dire. Che a Lugano sono tutto e niente: «Quanto potremo continuare noi con cinquanta persone? Chiudere un teatro adesso ci farebbe risparmiare soldi». Al Lac, comunque, ci provano. «Ma possiamo garantire questa situazione per un periodo limitato nel tempo. Dopodiché, come tanti teatri in Svizzera, saremo costretti a chiudere». Quanto al periodo limitato, quanto al temine ultimo: «Ce lo daremo nei prossimi giorni».

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