Musica

Emma Nolde, ‘Toccaterra’ è un toccasana

Quando la parola cantautore (cantautrice), ha un senso e il ‘(male)’ non viene per nuocere. Anzi. Venerdì 16 ottobre a Lugano, Studio Foce

'Per me saper suonare è lo stare insieme, il guardarsi negli occhi'
15 ottobre 2020
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“Chi è aria è bene resti vento, ma io son diventata casa e non mi sposto”. Acustica con accordature aperte, gambe incrociate come la Joni Mitchell fotografata da Jack Robinson, sopra un tetto di una casa di Empoli, con un tempo sullo strumento e una rilassatezza che sono quelli di chi ha macinato concerti tutta una vita. La canzone si chiama ‘(male)’, è una scrittura adulta ed è il corollario di tutta la bellissima anomalia di Emma Nolde, che ha vent’anni e non quaranta. Cantautrice nell’accezione più nobile del termine, toscana, suona venerdì 16 ottobre allo Studio Foce (ore 21.30). Sempre che il Covid ci risparmi, un giorno qualcuno potrà dire “Quella sera a Lugano c’ero anch’io”, come lo si può dire per Brunori Sas prima di fare il salto. «Infatti, so che ha suonato lì, è di buon auspicio», dice Emma, che tra i suoi non troppi riferimenti italiani annovera il Dario nazionale.

Premessa: la padronanza sul tetto di Empoli si spiega col fatto che Emma Maestrelli, più tardi Nolde, fa concerti già 14enne, non molto dopo aver visto una chitarra appesa in una pizzeria e capito che lo strumento non si suona girando le chiavi della paletta ma pizzicando le corde. Questo racconta lei a Billboard Italia, insieme a quel giorno in cui scopre che le piace la musica che al Conservatorio non si studia, e allora impara dai chitarristi jazz cos’è la libertà: «Per me – dice a laRegione – saper suonare è lo stare insieme, il guardarsi negli occhi. È studiare a casa sì, però con un approccio anche a livello corporeo. Qualche tempo fa ho fatto degli stage di percussioni africane e mi sono resa conto che tutto quello che stiamo facendo a livello musicale parte da lì, dove non c’è alcuna ‘griglia’. Lì esiste solo il guardarsi e il respirare. Poi è bene che il tutto sia teorizzato perché diventi ‘insegnabile’».

Joni Mitchell che rappa

Quanto al nome d’arte: «Maestrelli in Toscana è un po’ come dire Mario Rossi. Volevo qualcosa di più personale. Ci ho pensato e pensato fino a che mi sono arresa. Poi in quinta liceo ho studiato Emil Nolde. Ma non è che mi avesse colpito tanto l’espressionista tedesco, quanto l’assonanza. Un giorno, tornando a casa da Pontedera, ho immaginato la voce del mio babbo che diceva “Sì, mia figlia Emma Nolde è una musicista”. Immaginato detto da lui mi è sembrato molto familiare. E poi c’entra il significante di Nolde: a me ricorda quello che faccio, un po’ nordico e un po’ dolce, non tronco ma che suona tronco».

Quanto a Joni Mitchell: «Da piccola sì, mi ci paragonavano. La sto riscoprendo da qualche mese ed è di una profondità incredibile». Ecco, per Emma Nolde immaginatevi Joni Mitchell che a un certo punto di ‘Both sides now’ inizia a rappare: «Il rap l’ho scoperto con Ed Sheeran, che per qualcuno è scomodo da menzionare per la colpa dell’essere troppo pop e invece ha una grande versatilità musicale. E rappa. Poi mi sono avvicinata ai padri del rap, Tupac, The Notorius B.I.G., fino a Eminem. Ho scoperto il new soul, il rappato un po’ più musicale tipo Anderson Paak, Tom Misch, Jordan Rakei, e ho iniziato a rappare anche io in inglese. Mi piace farlo nei miei brani, perché siccome un brano lo scrivo nell’arco di un mese, la seconda strofa arriva sempre un po’ a metà di quel mese, e mi annoia un rifarla cantata. Magari è una cosa forse ingenua, ma per adesso è così».

Segno di totale onestà intellettuale, in mezzo a Bon Iver e James Blake, Emma Nolde cita Renato Zero: «L’ho sempre ascoltato tramite mio padre che è un patito, lo suona al piano. Quello che mi ha affascinato è stato vedere come lui, un tipo molto serio, sul pezzo, signorile, fosse così affascinato da una figura come Renato Zero, così lontana dall’uomo d’ufficio. E quindi la cosa ha affascinato me, facendomi scoprire che le sue canzoni toccano temi che un professionista ‘normale’ si può sentire addosso. Credo che quelle canzoni siano liberanti».

Scrivere stando bene

‘Toccaterra’, otto canzoni scritte dalla giovane cantautrice insieme ai produttori Renato d’Amico e Andrea Pachetti, non è un album, è una dichiarazione: «Stavo a mezz’aria, non riuscivo a prendere decisioni, e a un certo punto arriva il momento di prenderle. Non sai se cadi in piedi o di testa e ti fai male, ma a un certo punto devi toccare terra. Io l’ho fatto personalmente iniziando a dire cosa provavo, come stavo, cosa che prima non riuscivo a fare». ‘Toccaterra’ è liberatorio: «Credo molto nel non detto, credo che sia la cosa più forte che abbiamo dentro, che si manifesta anche senza che tu lo ricerchi, per un urgenza di fondo. Con la maturità il non detto viene meno, e mi ci sto confrontando adesso. Il processo creativo deve rimanere istintivo ma l’ispirazione, ciò di cui vuoi parlare, dev’essere ricercato in tematiche che ti stanno particolamente a cuore. Personalmente, riesco difficilmente a fare storytelling, io canto di vicissitudini personali, poi elaborate in diversi modi. È anche un po’ più difficile. Il che non significa l’idea che solo stando male si riesce a scrivere, perché la vera sfida è farlo stando stare bene».

'Andiamo a Berlino!'

Per le orecchie e per quell’entità indefinibile e oramai usurata che è l’anima, l’album ‘Toccaterra’ (Woodworm/Polydor/Universal Music) è un toccasana. Dalla traccia uno (‘Sfiorare’) in avanti, passando proprio per ‘(male)’ (“Se vuoi t’insegno a ballare. A ballare male”), Emma mette insieme le metriche del songwriting americano e italo-americano col parlato che tanto emoziona nella title-track e il rap che spunta quando meno te l’aspetti. Anche in ‘Berlino’, nuovo singolo dal bel video in bianco e nero da lei coreografato e diretto da Aurora Cesari (ballerini Bernardo Beconcini, Giacomo Norrito, Leonardo Mannucci, Margherita Tonci, Marta Maestrelli, Mina Maceroni, Stefano Bautista e Virginia Vaglini). Berlino dove Emma non è mai stata e che, spiegato sui social, è “il luogo in cui vorremmo essere, ma rimaniamo qui. È l'illusione che parte proprio dal non poter scappare”. Berlino che, spiegato a questo giornale è «la città in cui, nell’imaginario collettivo giovanile, tutto è concesso, tutto è permesso. Nel periodo in cui non riuscivo a dire come stavo, mi è uscita Berlino. Non essendoci mai stata, non so davvero se è come io la penso, o come la pensano quelli della mia età, se è davvero il mondo dei balocchi. Il fatto che a certe età siamo costretti a immaginarci dentro altri mondi, a volte dà sollievo, prospettiva. Berlino ha fatto questo tipo di lavoro su di me».

‘Toccaterra’ è album maturo e condotto con lo strumento in mano, com’è sempre bello vedere e sentire da chi le canzoni se le scrive da sé, chitarra o pianoforte (‘Ughi’) che sia. In questo senso, per Emma Nolde lo spunto arriva da entrambi. Il che è un buon (doppio) punto di partenza. O ‘garanzia’.

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