Venezia 77

Il Festival manda in Concorso gli ultimi film

La vedova Frances McDormand nella precarietà degli Stati Uniti di oggi in 'Nomadland', una pellicola da Leone d'Oro.

Frances McDormand in 'Nomadland' di Chloé Zhao
11 settembre 2020
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Che cos’è un festival se non un grande momento di festa? E cos’è il cinema se non una festa? Era nato negli ultimi anni del XIX secolo per essere domenicale divertimento, poi… Poi fu sempre di più un’idea di guadagno. Cinema e commercio. Ma come, vi vedete un’arte che si allontana dalla natura come il Cinema, la prima arte che nasce dall’elettricità... Ecco allora che il Cinema oggi corre verso un'originalità ecologica che manca nella produzione televisivo dipendente. Una battaglia guerresca che coinvolge il mondo. Ce ne siamo accorti vedendo gli ultimi due film in Concorso in una Venezia che, serva del turismo, si sveglia inutile alla vita.

Un'idea ben sottolineata da 'Səpələnmiş Ölümlər Arasinda' (Tra Una Morte E L'altra) di Hilal Baydarov e da 'Nomadland' di Chloé Zhao, film da subito balzato tra i più probabili vincitori del Leone d’Oro. Il fatto è che tra i due film, fondamentale è la genesi: il primo che si aggancia alla teoria cinematografica di Terrence Malick, mentre il secondo viaggia direttamente dalla cinematografia di un Ken Loach edulcorato per non offendere troppo il mito americano. Pochi film come questo riescono a rendere evidente il peso culturale del dominio mediatico statunitense. Film capaci di trasformare in eroismo il fallimento di una società. Protagonista, infatti, è una vedova interpretata da una Frances McDormand, in solitaria presenza. Lei si strugge tra una stagione da operaia in Amazon e un’altra a servire in un campo di Dinosauri. E ancora, in una precarietà che l’ha portata a lasciare la casa, ad avere un camper che serve per vivere e per spostarsi da un posto di lavoro all’altro. Combatte, acquista un’antica personalità nomade e vive nutrendosi di paesaggi di memorie, perché la vita non è vivere ma ricordare di essere vivi. Il film scorre in un viaggio che coniuga l’essere dentro e il vivere fuori. Non aspetta applausi ma descrive gli Stati Uniti di oggi dove un intero popolo vive senza possibilità di esistere.


Da 'Səpələnmiş Ölümlər Arasinda' di Hilal Baydarov

In un altro piano si muove 'Səpələnmiş Ölümlər Arasinda', troppo legato alla filosofia cinematografica di Malick per essere originale e non noioso. Nel suo cercare un religioso sentiero narrativo, il direttore si perde in un gioco in cui l’immagine manca il suo scopo illustrativo per essere il fallimento del dire. Su altri livelli situa il dire di 'Lahi, Hayop' (Genus Pan) di Lav Diaz, che spiega il suo film così: “Una volta mi chiesero di definire l’uomo, ossia noi stessi, i cosiddetti esseri umani, apparentemente l’abitante superiore del pianeta per eccellenza. Tutto quello che mi venne in mente fu una similitudine (L’uomo è un animale), e la sensazione fu terribile. Credetti di aver farfugliato malamente, ma ripensandoci oggi, ritengo che questa fu la risposta migliore. L’uomo, infatti, è rimasto allo stesso livello degli animali... Ho sempre desiderato realizzare un film sugli animali. In realtà sull’uomo come animale, l’uomo che si comporta autenticamente come un animale così come ha fatto, comunque, per tutta la sua vita”. E il film che ci troviamo davanti è un capolavoro narrativo, un film vero. Senza eroi e dove i cattivi sono il vero problema di questa umanità. Quelli che non amano la natura.


Da 'Lahi, Hayop' di Lav Diaz

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