Fotografia

Con gli occhi di Vincenzo Vicari

Parte dal Masi il ciclo espositivo dedicato al fotografo del 'Ticino che cambia', composto da una parte dei suoi 300mila scatti

Camion della fabbrica di gelati Luganella (1960)
30 agosto 2020
|

Con intenzioni tutt’altro che dispregiative lo chiamavano ‘ladro di anime’, per via di quella dote di inquadrare tutto, anche quel che stava dentro. E l’autoscatto dalla scala all’esterno di un palazzo lo rende a suo modo anticipatore. Anzi, possiamo considerarlo «il primo selfie della storia del Canton Ticino, grazie anche alla sua Leica, l’unica macchina che lo consentiva». Damiano Robbiani ha curato il progetto legato a Vincenzo Vicari, fotografo (1911-2007), coordinato dalla Divisione cultura della Città di Lugano. E per progetto s’è inteso mettere mano, dal 2014 in poi, ai circa 300mila pezzi provenienti dallo studio fotografico di Vicari – migliaia di negativi su pellicola e lastre di vetro dal 1936 in avanti – ritirati nel 1987 da Marzio Taddei, suo successore. Oggetti dapprima catalogati, poi digitalizzati e restituiti al pubblico, che ne è o ne è stato – direttamente o indirettamente – protagonista. Trecentomila scatti e circa ottomila stampe che il fotografo, fortunatamente, aveva già ordinato in base a criteri suoi, grazie all’aiuto della moglie Giuseppina Danzi.

La mostra prende il nome di ‘Vincenzo Vicari fotografo. Il Ticino che cambia’, essendo l’eredità di Vicari una testimonianza ininterrotta di settant’anni di storia in cui molto, nel Canton Ticino, è accaduto. «Un lascito – quello di Vicari – che sarà fonte d’ispirazione», nei desideri del sindaco Borradori che confida in «nuovi Vincenzo Vicari che di questo cantone documentino il futuro seme tangibile del cambiamento». Nella conferenza stampa di presentazione che si svolge al Palacongressi, dove di questi tempi c’è spazio a sufficienza, prende la parola anche Tobia Bezzola, direttore del Masi, sottolineando la qualità ‘ottocentesca’ di chi è in grado di ritrarre tutto («il diavolo e l’acqua santa, dalla Curia alle operazioni chirurgiche», diceva poco prima Robbiani) ben prima delle specializzazioni del XX secolo: «Vicari ci insegna molto più della storia del cantone. Ci dice qualcosa sul ruolo del fotografo nel contesto artistico». E la foto documentaristica è benvenuta a Palazzo Reali, che ospita una delle cinque sezioni che del lavoro di Vicari, dagli anni Trenta fino alla sua morte, vanno a comporre un ciclo.

Dal Masi in poi

A Lugano, dal 29 agosto al 10 gennaio 2021 al Masi, un centinaio di scatti eterogenei formano l’esposizione d’apertura, che porta il nome dell’intero progetto. Nome che è anche quello del volume monografico di 352 pagine edito da Casagrande (in tedesco grazie alla Schidegger & Spiess). A Palazzo Reali si trova un sunto tematico del suo lavoro: le foto dal cielo (Vicari fu tra i pionieri della fotografia aerea), gli interni delle grandi industrie (la sala macchine della centrale elettrica di Biasca, foto del ’65, è in copertina), quelli di salumerie, pasticcerie, grotti, cucine (quella del penitenziario), i Volkswagen Transporter della fabbrica di gelati Luganella e i dischi sugli scaffali del ‘Gemetti’ (con la sua selezione di vinili Philips a dodici franchi e uno scaffale di stereo 8 a quindici).

C’è anche il Vicari reporter che immortala Coppi ai mondiali di ciclismo su strada del ’53, l’incendio sul San Salvatore nel 1981, indietro sino a Geo Molo che dai microfoni della radio svizzera annuncia l’inizio della guerra e avanti sino alle donne che nel 1971 votano per la prima volta; 1971 che è anche l’anno del cantiere del Palacongressi, da dove tutti proveniamo. «Proprio la monografia – spiegava poco prima in quella sede il curatore Robbiani – ci ha dato lo spunto per questa tipologia di mostra. E il ciclo, serate a tema in cui approfondire la produzione di Vicari, dal Masi va a Caslano, al Museo della Pesca (dal 6 settembre al 29 ottobre 2020), per una mostra intitolata ‘Immagini di lago. Paesaggi e tradizioni dal Ceresio’; da Caslano a Corzoneso, Casa Rotonda (dal 3 ottobre al 29 novembre), per ‘Pietre e cemento. Vincenzo Vicari e la Valle di Blenio’, posto amato dal fotografo con casa in Leventina; da Corzoneso a Sonvico, all’Antico Torchio delle noci (dal 3 ottobre al 29 novembre) per la sezione ‘Ascoltare la fotografia. Volti, racconti, storie’; e da Sonvico a Vezia, a Villa Negroni (dall’8 ottobre al 18 dicembre) per ‘L’immagine del lavoro dal Ticino che cambia’. Cinque sedi che vanno a formare quell’auspicio di sindaco di «una rete culturale con Lugano al centro per creare reti di opere, concerti, artisti, culture diverse. Non facile creare reti nello stesso Luganese – così Borrdadori aveva chiuso al Palacongressi – ma ci proviamo».

C’è anche tanto digitale che riguarda il fotografo. Il sito www.vincenzovicari.ch è banca dati archivistica ma anche in dialogo con l’utenza, e futuro e-commerce di sue immagini da utilizzarsi per scopi privati, di pubblicazione, di mostre, con relativi diritti d’utilizzo. Il tutto regolato da una mappa sulla quale, più o meno a ogni coordinata del cantone, corrisponde uno scatto di Vicari, visualizzabile. In aggiunta, la piattaforma partecipativa Rsi lanostraStoria.ch, che mette a disposizione il Vicari videomaker, oltre a documentari e interviste che lo riguardano.

Senza vergogna

«Trecentomila scatti sono una quantità enorme», spiega Damiano Robbiani a laRegione nelle sale di Palazzo Reali. «E sono tutti su negativo, che porta con sé il problema della conservazione e della fruizione. L’unico modo oggi è scansionare». Cinquemila gli scatti su cui si è potuto lavorare ad oggi, un centinaio compongono la mostra del Masi e un altro paio di centinaia sono divisi nelle altre quattro sedi. «Il lavoro che resta da fare sicuramente ci prenderà almeno un decennio, se non di più. Il tempo che occorre per capire cosa vale la pena valorizzare, cosa per la quale è necessario conoscere il materiale, farlo passare per intero». Quanto visibile oggi viene dalla «priorità da darsi ai supporti più fragili, trattati prima degli altri per un’urgenza conservativa». Il resto è «molto del materiale che già si conosceva di Vicari, utile per la composizione delle mostre. Restano ancora decine di migliaia fotografie che nessuno ha mai guardato per anni e anni. Sarà appassionante scoprirle». Come una scatola di cioccolatini: «Trovi immagini inaspettate del Ticino che fu. Molte di quelle degli anni Trenta, quelle più liriche, sono già note, mentre il Ticino dagli anni Cinquanta ai Settanta è stato raramente rappresentato, forse perché un po’ ce ne siamo forse vergognati, sino ad oggi. Ecco – conclude Robbiani – questa è un’occasione per scoprire un Ticino nuovo».


Autoritratto su una scala (1938)

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE