Culture

'A novembre ti cacceremo via': Walk of fame vs Donald Trump

Stelle del cinema e della musica a colpi di tweet. Taylor Swift e George Clooney confidano nel voto. Spike Lee: 'Questo paese è costruito sui corpi dei neri uccisi'

Jamie Foxx a Minneapolis (Keystone)
3 giugno 2020
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Donald Trump, un uomo che non ha mai preso le distanze dal Ku Klux Klan, con in mano la Bibbia e in faccia il broncio è fotografia che fa da perfetto contraltare agli Stati Uniti in fiamme per tutto il lungo e irrisolto pre-George Floyd. Dalla Manhattan in frantumi alla Washington blindata dove, per far sfilare il presidente fino alla St. John Episcopal Church affinché sventolasse le sacre scritture di fronte ai fotografi, è stato fatto ampio uso di lacrimoegni e proiettili di gomma; dalla Casa Bianca fino alla Walk of fame, lungo la Hollywood Boulevard, dove cittadini virtuosi della Città degli Angeli armati di ali, scopa e paletta hanno ripulito volontariamente i marciapiedi delle stelle dal day after delle proteste. 

Con spintarella della Cnn, che si è chiesta il perché del silenzio di Hollywood così come Lewis Hamilton si era interrogato su quello del circo della Formula Uno, la risposta della gente di spettacolo ha avuto eco più grande di quella delle auto veloci ma silenziose. A partire da Minneapolis, dove l’attore Jamie Foxx si è unito alle marce cittadine in ricordo della 46enne vittima; da lì indietro a Los Angeles, dove lo stesso ha fatto Kendrick Sampson (‘The Vampire Diaries’, ‘Le regole del delitto perfetto’), tornando a casa con i postumi di un proiettile di gomma e colpi di manganello, postati su Instagram.


Jamie Foxx a Minneapolis (Keystone)

Tre fratelli

Se si parla di cinema, la lotta per i diritti delle minoranze è identificata con il nome di Spike Lee. ‘3 Brothers-Radio Raheem, Eric Garner And George Floyd’ è il titolo del corto (meno di due minuti) realizzato dal regista alternando immagini dell’esecuzione di George Floyd con quelle di Eric Garner nel 2014 a Staten Island, New York, a quella di Radio Raheem nel suo film ‘Fa’ la cosa giusta’. “La storia smetterà mai di ripetersi?”, recita l’interrogativo nell’incipit del corto; “Quello che vediamo in questi giorni – risponde idealmente il regista alla Cnn – lo abbiamo visto nelle rivolte degli anni '60, con l'assassinio di Dr King (...) La gente reagisce in questo modo perché vuole essere ascoltata”. A suggello del concetto: “Il punto è uno: questo Paese è costruito sui corpi dei neri uccisi".

“Ci sono pochi dubbi sul fatto che George Floyd sia stato assassinato”, scrive George Clooney affidando il suo pensiero al Daily Beast. "Questa è la nostra vera pandemia. Ci infetta tutti, e in 400 anni non siamo ancora riusciti a trovare un vaccino. Anzi, pare che abbiamo smesso di cercarlo”. Clooney si affida alle parole di Sarah Koenig, giornalista statunitense calatasi per un anno nei processi a carico di cittadini di afroamericani nel palazzo di giustizia di Cleveland e uscita con quella che è più di una sensazione, ovvero che “a confronto con crimini di pari gravità commessi dai bianchi, per la gente di colore gli arresti sono più frequenti, le offerte di patteggiamento sono peggiori, le cauzioni sono più elevate, le pene sono più lunghe, e la libertà vigilata è più frequentemente revocata”. Clooney conclude così: “C’è un solo modo in questa nazione per apportare cambiamenti duraturi: votare”.

‘A novembre ti cacceremo via’

Se qualche major della musica si è fermata per 24 ore di protesta, Spotify lo ha fatto per 8 minuti e 49 secondi, il tempo trascorso dall'agente Derek Chauvin sul collo di Floyd, lungo quanto il silenzio inserito in alcune playlist del colosso on demand. La musica è anche lo sconcerto di David Crosby e le accuse di “razzismo sistematico” lanciate da Michael McDonald, il soul bianco in persona con un’infanzia a Ferguson nel Missouri delle disuguaglianze che un bel giorno gli ha chiamato l’inno pacifista ‘Takin’it to the streets’; McDonald che invita gli americani a parlare, affinché il silenzio non sfoci in odio e violenza casuali.

“Questo è il ritratto preciso di un regime totalitario” scrive Benmont Tench, session man in pianta stabile nella band di Tom Petty nel retwittare l’azione della polizia militare che spara proiettili di vernice contro le abitazioni, invitando (è un eufemismo) i cittadini di Minneapolis a starsene in casa. “Dopo aver alimentato il fuoco con la supremazia bianca e il razzismo per tutta la durata della tua presidenza hai pure la faccia tosta di fingere superiorità morale e minacciare violenza?” scrive la già stella del country ora del pop Taylor Swift commentando la minaccia del presidente (“Se iniziano i saccheggi, si spara”. “A novembre ti cacceremo via”, risponde la cantante.

Con toni più in linea con il suo repertorio, James Taylor, il “vecchio tizio bianco che ama Barak Obama” (estratto da una vecchia campagna presidenziale) per il quale “vedere quel che accade soltanto, o in particolare, come un fallimento della polizia è avere uno sguardo tragicamente miope”. Scrive Taylor: “Ci siamo già passati, è quel momento in cui la gente scende in strada spontaneamente per un comune senso d’indignazione”. E “ciò che affrontiamo”, conclude, “non è altro che The Great American Mission: un impegno nazionale a porre fine all'ingiustizia della schiavitù e un rifiuto nazionale del razzismo”.

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