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Libri, le geografie francesi di David Lopez e Nicolas Mathieu

"La cosa che mi piace dell’idea di fare il morto è la possibilità di avere successo rimanendo immobili"

31 marzo 2020
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Jonas esce dalla piscina. Un insetto gli si posa sul braccio. E lui, istintivamente, lo fa finire in acqua con una manata. Poi si accorge che si tratta di una coccinella e decide di salvarla. Nel frattempo Wanda si è sdraiata sul lettino e si massaggia con l’olio. I seni, il bacino. Poi scende con le mani più giù, scosta l’elastico del costume. Jonas le dice di aspettare, prima deve tentare, soffiandoci sopra, di asciugare la coccinella, che non riesce più a volare. “Mi giro verso Wanda per poter continuare ad alitare senza smettere di fissarla”, dice. Poi Jonas sente Wanda gemere, e la coccinella vola via.

È una scena emblematica dell’incapacità di agire dei giovani personaggi che animano il romanzo d’esordio del francese David Lopez (Il feudo, Sellerio), che nel suo Paese ha avuto un buon successo di pubblico e di critica; figure destinate a una stucchevole inazione, che si annoiano senza autodistruggersi. Jonas, protagonista e io narrante, è un pugile di un certo talento, ma non sembra che gli interessi progredire, né dimostra la disciplina dell’atleta determinato; Wanda ogni tanto lo chiama per fare sesso (anzi: per farselo fare), ma lui, pur soffrendone, non osa chiederle di più; non ha un lavoro e decide di non decidere che fare della propria vita, reagendo infastidito a quanti (pochi, invero) glielo fanno notare. E tra chi dovrebbe farlo non c’è il padre, che non domanda nulla, e si fa le canne col figlio. Non c’è, dunque, la complessa trama di tensioni generazionali che percorre, a partire dal titolo, un altro romanzo francese di recente pubblicazione come E i figli dopo di loro di Nicolas Mathieu, vincitore del “Prix Goncourt” 2018 e uscito in Italia presso Marsilio. Un libro molto bello, insieme romanzo di formazione e indagine sociale, con protagonisti giovani adolescenti seguiti per quattro estati, tra il 1992 e il 1998 della vittoria mondiale dei Bleus, nella cittadina di Heillange, toponimo fittizio ricalcato su quello di Hayange, in Lorena, dove gli altiforni chiudono e la destra lepenista fa incetta di voti tra una classe operaia smarrita e incattivita. E anche nel romanzo di Lopez l’ambientazione risulta cruciale, ma soprattutto perché riflette il senso di sospensione che caratterizza le esistenze dei personaggi. Uno spazio tra periferia e campagna (“troppo cemento per poterci considerare veri campagnoli, troppo verde per assimilarci alla feccia suburbana”), vero e proprio “feudo” permeabile all’esterno eppure chiuso su se stesso, icasticamente riprodotto dal ring su cui Jonas sale senza troppa convinzione.

Il senso di fissità è reso anche dalla struttura del libro, costruito su quadri essenzialmente giustapposti, poco organizzati tra loro per creare un vero sviluppo narrativo. Le varie scene, benché spesso frenetiche, sono caratterizzate da una sospensione del tempo determinata dalla descrizione maniacale dei dettagli: vale per gli incontri di boxe (in cui le conoscenze tecniche dell’autore si manifestano appieno), per le interminabili partite a carte, per l’iperrealismo che contraddistingue le pagine di carattere sessuale. Una fissazione sul dettaglio che protegge Jonas e i suoi amici dalla minaccia del futuro, ma che preclude loro, nel contempo, un più ampio orizzonte di possibilità. L’unica risposta è rimanere insieme, fare gruppo, in una sovrapposizione di voci restituita da una lingua ipnotica e fortemente giovanilistica, ben resa anche in italiano dall’ottima traduzione di Marina Di Leo e Giulio Sanseverino.

Jonas, prima di salvare quella coccinella, quando ancora stava in piscina tentando di galleggiare sulla superficie dell’acqua, aveva pensato: “La cosa che mi piace dell’idea di fare il morto è la possibilità di avere successo rimanendo immobili”.

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