Culture

Da petaloso agli elvetismi, il potere delle parole

La lingua è un bene comune: ci definisce e tutti noi ne siamo responsabili, spiega la sociolinguista Vera Gheno nel suo saggio

19 marzo 2020
|

È un titolo politico, quello che la sociolinguista Vera Gheno ha voluto dare al suo interessante saggio ‘Potere alle parole’ (Einaudi 2019). Perché l’ambizione del libro è in definitiva politica: non siamo di fronte all’ennesimo manualetto su come scrivere e parlare correttamente – ormai un vero e proprio genere librario, nel quale peraltro anche la nostra autrice si è proficuamente cimentata con ‘Prima l’italiano’ (Newton Compton 2019), lettura utile anche – e soprattutto – per chi si sente sicuro delle proprie competenze linguistiche.
Un intento politico, si diceva, ma non lasciamoci ingannare da quel titolo: non si tratta di dare il potere alle parole, piuttosto di riconoscere che il potere passa attraverso le parole e che, come l’autrice scrive nelle ultime pagine, “il saldo possesso degli strumenti linguistici (…) ci rende cittadini a nostra volta più potenti”. Certo, detta così si può pensare a una sorta di manifesto contro gli azzeccagarbugli, contro chi attraverso parole oscure cerca di prevaricare sugli altri, ma non è così semplice, perché le parole non le usiamo solo per comunicare (e convincere, comandare) gli altri, ma anche per descrivere il mondo – e a seconda delle parole che usiamo possiamo raccontare e vivere il mondo in maniere diverse – e soprattutto per definire noi stessi: le parole “sono atti di identità”, raccontano chi siamo, a quale comunità apparteniamo – e per rendersene conto basta pensare ai vari “elvetismi” ci identificano come svizzeri di lingua italiana.
Insomma, per quanto sia difficile fare una classifica delle molte competenze che è importante sviluppare, Vera Gheno ha ragione nel sostenere che quella linguistica è fondamentale: perché viviamo in quella che viene chiamata società della comunicazione, e perché il parlare è a suo modo alla base di tutto quello che facciamo e impariamo. “Ricordiamoci – scrive l’autrice – che la vera libertà di una persona passa dalla conquista delle parole: più siamo competenti nel padroneggiarle, scegliendo quelle adatte al contesto in cui ci troviamo, più sarà completa e soddisfacente la nostra partecipazione alla società della comunicazione”.

I padroni della lingua

C’è tuttavia un problema, che Vera Gheno conosce bene sia in qualità di sociolinguista – cioè una persona che studia la lingua in rapporto alle diverse situazioni sociali –, sia in qualità di ex collaboratrice dell’Accademia della Crusca, come consulente e gestrice dell’account Twitter (sì: gestrice; la questione dei nomi al femminile di professioni è accennata nel libro e approfondita in un altro saggio, ‘Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole’, pubblicato da Effequ, ma qui meglio non parlarne oltre). Il fatto è che questa competenza linguistica non passa solo dal sapere parlare e scrivere bene, usando le parole corrette e soprattutto appropriate, non consiste solo nel conoscere la differenza tra c’entra e centra o qual è la forma corretta tra guadagnamo e guadagniamo, ma riguarda, appunto, la linguistica, lo studio di come funziona in generale la lingua.
Che cosa è, dunque, una lingua? In breve: un codice condiviso. E la chiave sta tutta in quel “condiviso”, perché la lingua è un bene comune, nel senso che sono i parlanti a prendersi cura della lingua, usando certe forme invece di altre, cambiando significato alle parole e anche introducendone di nuove. Detto altrimenti: la norma linguistica, insomma quello che è corretto e quello che non è scorretto dire e scrivere, altro non è che l’insieme delle regole accettate dalla maggioranza di una comunità in un periodo e contesto storico.
I linguisti non decidono nulla, ma studiano quello che dicono e scrivono le persone: non c’è un ente supremo che stabilisce se qual è vuole o no l’apostrofo oppure se è il caso di introdurre una nuova parola (come il famigerato caso di “petaloso”, per il quale l’Accademia della Crusca è stata accusata di corrompere la lingua italiana). “Tutti, in qualità di semplici parlanti di una lingua, rivestiamo per essa un ruolo molto importante” scrive Vera Gheno: “La sua qualità, la sua supposta decadenza o trasformazione non dipendono, infatti, dagli altri, da un misterioso ente che se ne deve occupare, dall’Accademia della Crusca, dallo Stato, ma da noi”.
Il che non significa che, mancando questa autorità centrale, si possa dire tutto e il contrario di tutto: gli errori restano errori, perché rischiano di far fallire la comunicazione – perché non ci si capisce o perché ci si concentra sull’errore perdendo di vista il contenuto – e perché i parlanti sono fin troppo zelanti nel censurare gli errori altrui, spesso puntando il dito contro forme corrette ma poco usate o, chissà perché, finite nel mirino della maestra delle elementari. (Questo anche a causa della curiosa storia della lingua italiana, rimasta a lungo questione di dotti mentre il popolo parlava dialetto: un tema al quale Vera Gheno dedica un interessante capitolo ma del quale non c’è spazio, qui, per parlarne).
È questo il potere delle parole: non solo sapere quanto siano importanti, ma anche che ne siamo noi i custodi.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE