Culture

Le inconciliabili sintesi di Eduard Limonov

Bisessuale, libertino, eroe dell’underground e della protesta in generale: un ricordo dello scrittore e dissidente scomparso ieri

Limonov durante un suo comizio (Foto Archivio D'Amato)

Una vita da romanzo, uno scrittore esagerato e scandaloso, un politico combattente di cause perse. Eduard Limonov è stato uno dei più eccentrici intellettuali russo-sovietici vissuti a cavallo dei due secoli. A un certo punto qualcuno ha pure pensato che egli fosse un personaggio letterario inventato e non un uomo in carne e ossa.
Dopo esserci sfiorati varie volte in locali frequentati dall’intellighentsja moscovita, lo andammo a incontrare, senza farci annunciare, in un afoso 31 luglio sotto al monumento dedicato ai rivoluzionari del 1905.
Qui con voce rauca, circondato da energumeni, il carismatico poeta-militante catechizzava una cinquantina di suoi incalliti sostenitori, commentando gli eventi del mese. Dietro a lui una giovane ragazza in divisa viola teneva fiera in pugno un bandierone rosso al cui centro su fondo bianco era disegnata una bomba a mano.


Le sue tesi erano simili a quelle di un ingegnoso patriota russo, di un accanito ultraconservatore bianco, di un fervido difensore di quel mondo euro-asiatico (con a capo la Russia) che la globalizzazione sta cambiando.
Ce l’aveva con Vladimir Putin, definito “un presidente troppo debole”, con la politica di amicizia del Cremlino verso la Turchia invece di appoggiare i curdi, con il mondo euro-americano e con l’Islam radicale, con l’approccio troppo morbido di Mosca verso l’Ucraina, dove allora all’est erano in migliaia a morire e quasi 2 milioni erano gli sfollati.
Gli facemmo un cenno, mentre un suo vice parlava. Forse la nostra frequentazione con persone a lui note lo indusse ad avvicinarsi.
Alto non più di un metro e 65, dallo sguardo profondo e penetrante, barba e baffi alla Trotsky, Eduard Savenko – questo il suo vero nome – iniziò quasi a balbettare, quando scoprì di trovarsi davanti a uno straniero.
Ammorbidì di molto le sue dichiarazioni in precedenza fatte dal palco. La sua visione era comunque quella di far rioccupare alla Russia contemporanea l’area un tempo occupata dall’impero zarista: dal Kazakhstan all’Ucraina fino a Kiev.

Limonov non nascondeva che aveva inviato nelle repubbliche popolari filo-russe del Donbass suoi uomini, tanti dei quali non erano più tornati. Nei mesi successivi, il suo amico e collega (l’allievo prediletto), Zakhar Prilepin, proseguì questa linea interventista con incarichi al fronte.
Quindi azione, non solo parole. Colpiscono le immagini, forse rubate, in cui si osserva Eduard Limonov sparare con un fucile mitragliatore al fianco delle milizie serbe di Bosnia su Sarajevo nel 1992.

Nel 2010 la rivista ‘Foreign Policy’ definì il suo messaggio politico un “mix infiammabile di socialismo della vecchia scuola, nazionalismo russo e teatro di strada anarchico”.
Non solo. Nel 1993 Limonov fondò il partito nazional-bolscevico, che riuniva stalinisti e fascisti, formazione poi sciolta per essere “estremista” dal ministero della Giustizia federale. Insomma, gli opposti.
Ma è tutta la sua vita, raccontata in un mirabile saggio da Emmanuel Carrère, piena di avventure, eventi estremi, acrobazie, spesso difficilmente comprensibili.

A 15 anni Eduard iniziò a comporre poesie. Il suo primo romanzo “Sono io, Edichka” è pubblicato nel 1976 negli Stati Uniti, dove era emigrato su pressione del Kgb. Qui lo scrittore aderisce al Partito socialista prima di trasferirsi nel 1980 in Francia, dove diviene una specie di “idolo” di una parte della sinistra locale anche per la sua difesa ad oltranza di Stalin.
Bisessuale, libertino, eroe dell’underground e della protesta in generale è stato amato per il suo fascino da donne belle e famose. Fece scandalo il suo “Il poeta russo preferisce i grandi negri”. Emmanuel Carrère, che lo aveva conosciuto negli anni parigini, lo definì “un marinaio in libera uscita ed una rockstar”.
Oltre a hooligans, panslavisti, anti-establishment, tanti negli anni sono stati i personaggi che si sono fatti vedere con lui: il criminale di guerra Radovan Karadzic, il paramilitare serbo Arkan, il leader dell’estrema destra francese Jean-Marie Le Pen. Nell’ultimo periodo di vita Limonov si è avvicinato anche ad Aleksandr Dughin, oggi uno degli ideologi di Putin.
Sintetizzare l’inconciliabile, ecco la sua missione!

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