Momenti di lettura

‘Celebrity’, prima del folle finale

Andrea Kerbaker indaga, con sguardo felicemente ironico, il nostro dolorosissimo e umanissimo bisogno di sentirci apprezzati e ammirati dagli altri

Un centinaio di pagine non tanto sull’universo televisivo, ma sulla sua percezione (ed. La nave di Teseo)
22 febbraio 2020
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Giuseppe “Pino” Scannadinari ha 24 anni, fa il barman in provincia di Arezzo e vive ancora con i genitori. Una vita non proprio soddisfacente, con gli amici che, seduti per l’aperitivo, si divertono a sfotterlo mentre sgobba dietro al bancone tra cocktail e piadine da scaldare. L’unico orizzonte è quello del giovedì pomeriggio, quando va a scuola a prendere l’adorata nipotina Giorgia, figlia di sua sorella, e può passare qualche ora con lei al parco giochi.

Ma ora tutto può cambiare (o così almeno spera Pino), dato che ha superato le selezioni per partecipare al quiz Bott&Risposta, il più seguito della Rai (“Una trasmissione dove ti ammettono solo se sei fico vero”), condotto dal mito Massimo Incensato (!), la star dei conduttori. Va a Roma, la puntata viene registrata (non vince, ma, in questo caso più che mai, l’importante è partecipare). Riprende il treno e torna a casa, con i genitori, gli unici a sapere della cosa, che lo accolgono come un eroe alla stazione. Resta solo la spasmodica attesa della messa in onda, dieci giorni in cui resistere alla tentazione di rivelare il segreto e lasciarsi cullare dalla certezza di diventare una “celebrity” che in paese (e non solo!) tutti cominceranno a guardare con l’ammirazione che merita.

Fantasie brutalmente interrotte da un clamoroso colpo di scena: Massimo Incensato muore a quarantotto anni (un infarto fulminante!) e la Rai, per rispetto, decide di non mandare in onda la puntata. Non resta, seguendo il consiglio dei rancorosi genitori, che rivolgersi a un avvocato, che non può tuttavia fare granché (“è solo perché siamo povera gente, che non abbiamo diritti”, sbotta la madre al termine di un colloquio che pare la riscrittura grottesca di quello manzoniano con l’Azzeccagarbugli).

Andrea Kerbaker, autore da tempo impegnato nel mondo culturale (basti pensare alla Kasa dei Libri di Milano), aggiunge, con una sorta di pièce teatrale in cui sono soprattutto i dialoghi a connotare i personaggi, un ulteriore tassello alla ricca tradizione della letteratura che si occupa del mondo della televisione. Qui siamo lontani, specie nello stile e nei toni, dalla complessa analisi dei nostri tempi condotta da Walter Siti in ‘Troppi paradisi’ o dalla ferocia delirante di certi personaggi di ‘Superwoobinda’ di Aldo Nove; semmai, cercherei qualche traccia di questo libro nel Carlo D’Amicis de ‘La battuta perfetta’ o in alcune pagine comiche del primo Niccolò Ammaniti. Kerbaker indaga infatti, con sguardo felicemente ironico, il nostro dolorosissimo e umanissimo bisogno di sentirci apprezzati e ammirati dagli altri, qui declinato in un racconto di un centinaio di pagine non tanto sull’universo televisivo, ma sulla sua percezione, specie presso il cittadino meno equipaggiato di strumenti critici: non è un caso che il romanzo si apra quando il protagonista ha già lasciato gli studi Rai e inizia a rievocare, trasognante, la sua performance.

A Pino non resta dunque che recarsi al funerale di Massimo Incensato (l’omelia del prete vale la lettura del libro), sperando di apparire in tv almeno in quell’occasione. Per fortuna, col caldo che fa, non si è messo l’abito consigliatogli dalla madre (“quello che hai messo anche al matrimonio di Aldo”), ma ha perlomeno il fazzoletto suggerito dal padre (“almeno ti asciughi, se qualche telegiornale ti fa un’intervista”). Prima del folle finale.

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