Culture

Al Locarno Festival arriva 'la' retrospettiva

La 73ª edizione del Festival nel nome della regista e attrice giapponese Kinuyo Tanaka. Il curatore Roberto Turigliatto ci racconta chi era.

Kinuyo Tanaka
23 gennaio 2020
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Un vento gelido spinge ad attraversa in fretta il ponte sull’Aar e, in attesa delle proiezioni del pomeriggio delle Giornate del cinema svizzero di Soletta – tra cui il ticinese ‘Love me tender’ di Klaudia Reynicke, in corsa per il Premio del pubblico – si cerca riparo nell’albergo dove il Festival di Locarno presenta le prime anticipazioni dell’edizione 2020. Si è quindi scoperto il manifesto della 73ª edizione, sempre realizzato da Jannuzzi e Smith (vedi sotto); una nuova collaborazione con Swiss Films per aiutare le produzione cinematografiche svizzere. Ma a colpire, e scaldare in questa fredda giornata, è soprattutto la retrospettiva. Dopo l’interessante lavoro sul cinema nero dell’anno scorso, e in attesa di recuperare la rassegna su Blake Edwards annunciata un anno fa e poi rinviata, «per la prima il Festival dedica la sua retrospettiva al lavoro di una regista». Parole della direttrice artistica Lili Hinstin che giustamente insiste sulla nuova «consapevolezza collettiva» che almeno a Locarno trova spazio.

Una regista, dunque, anche se in realtà Kinuyo Tanaka è nota soprattutto in quanto attrice, tra le più popolari e apprezzate dell’epoca d’oro del cinema Giappone – ma non dimentichiamo l’Orso d’argento per la migliore attrice vinto nel 1975 – realizzando, da regista, solo sei film. E se la direttrice artistica sottolinea la novità e si chiede come mai l’opera da regista di Kinuyo Tanaka sia stata finora poco studiata, dall’altra il curatore della retrospettiva Roberto Turigliatto evidenzia – oltre alla complessità del lavoro che coinvolge numerosi partner giapponesi e internazionali – la continuità della scelta, richiamando le precedenti retrospettive che negli anni Locarno ha dedicato al cinema giapponese, «alcune pionieristiche, come quella su Yasujiro Ozu che adesso è riconosciuto come un grande regista, ma all’epoca era una scoperta». Come quasi sempre accade con le retrospettive, ci spiega Turigliatto, la scelta è frutto della discussione. «In questo caso l’idea è stata sua e io sono molto felice della proposta, perché conosco Yasujiro Ozu e da tempo pensavo che valesse la pena approfondire il suo lavoro».

Iniziamo dalla carriera di attrice. «Ha lavorato con i più grandi autori, è stata un po’ la musa di Kenji Mizoguchi, uno dei massimi cineasti della storia, ma anche con Heinosuke Gosho, il già citato Yasujiro Ozu… se si prende l’opera dei maggiori registi giapponesi lei c’è – e c’è per cinquant’anni, perché pur essendo morta relativamente presto, a 67 anni, ha iniziato giovanissima nel 1924, con il cinema muto». Una figura fondamentale della storia del cinema giapponese, tanto che la difficoltà, prosegue Turigliatto, sarà scegliere i film in cui è stata attrice. Almeno per il sonoro – tra l’altro recitò nel primo film sonoro giapponese, diretto da Gosho – perché, ha spiegato Turigliatto, «dell’epoca del muto molto è andato perduto».
E come regista? «È una rivelazione: è stata la seconda donna giapponese a dirigere un film e dobbiamo tenere presente la società giapponese dell’epoca era molto gerarchizzata: la sua scelta di andare dietro la macchina da presa è stata molto forte, facendo una riflessione molto profonda sul ruolo della donna, sulle trasformazioni della società giapponese del dopoguerra». E la sua carriera di regista coincide temporalmente con l’abbandono della Shochiku, uno dei più grandi studi giapponesi. «E il suo ultimo film è quasi una produzione indipendente, ed è un film soprattutto femminile» conclude Turigliatto.


Parole, parole, parole

Una vetrina per le nuove produzioni a Locarno Pro

Non solo la retrospettiva per la prima volta al femminile: come accennato l’incontro alle Giornate del cinema svizzero è stata anche l’occasione per annunciare l’immagine della 73ª edizione del Locarno film festival e una nuova collaborazione con Swiss Films. 
L’agenzia di promozione del cinema svizzero sarà presente, durante le giornate di Locarno Pro (dal 6 all’11 agosto) con ‘Swiss Films Previews’, in pratica uno spazio per far conoscere ai rappresentanti dell’industria cinematografica estera e svizzera presenti a Locarno i più interessanti progetti in via di realizzazione, per “aprire la strada a possibili collaborazioni e accendere l’attenzione sul cinema elvetico” (come si legge nella presentazione del progetto). Le difficoltà di produzione e distribuzione sono uno dei temi ricorrenti delle discussioni con i registi che si incontrano a Soletta: le cause sono varie e complesse, dal mercato sempre più satuto al calo degli spettatori alle strane logiche delle piattaforme di streaming, senza dimenticare per la Svizzera l’uscita dal programma Media dell’Unione europea; una vetrina per trailer ed estratti di film in lavorazione certo non risolverà il problema, ma è comunque una buona notizia.

Abbiamo poi la nuova immagine del Locarno film festival, come di consueto affidata allo studio Jannuzzi e Smith. Sui manifesti avremo ovviamente il tema del pardo, ma se l’anno scorso era declinato su dei graffiti primitivi, adesso abbiamo le parole. “Ogni film – ha spiegato Michele Jannuzzi – contiene parole che esistono solo per qualche istante. Parole recitate da attrici e attori; scritte che appaiono casualmente su muri delle case, lungo le strade o su una maglietta indossata da una comparsa; titoli, sottotitoli e titoli di coda”. Attingendo all’immenso dizionario multilingue formato dalle parole dei film del festival, abbiamo l’immagine: “Con il manifesto della 73a edizione useremo i titoli dei film presentati nelle edizioni passate del festival per creare una trama tipografica e, come per magia, dare forma al tradizionale leopardo giallo e nero, identità del Locarno film festival”.

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