Culture

Sapere senza credere

'Possiamo salvare il mondo prima di cena'. Jonathan Safran Foer racconta la crisi del pianeta e la nostra apatia

4 gennaio 2020
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Lo ammetto, ho un problema con Greta Thunberg. No, non sono tra quelli che augurano all’attivista svedese le peggio cose o che sospettano complotti e oscuri interessi economici dietro il suo impegno per l’ambiente. Non sono neppure tra quelli che, con stucchevole paternalismo, le consigliano di andare a scuola invece di scioperare per il clima, così scoprirebbe che… e abbozzano nozioni che Greta Thunberg conosce benissimo, e per rendersene conto basterebbe non dico leggere il suo libro – ‘La nostra casa è in fiamme’, pubblicato in italiano da Mondadori – o ascoltare i suoi discorsi, ma semplicemente andare al di là degli orribili memi che su di lei circolano sui social media. Non sono neppure uno di quelli che nega l’origine umana del riscaldamento globale – se non l’esistenza stessa del riscaldamento globale, ché settimana scorsa è nevicato tanto in montagna – facendo leva su presunte controversie scientifiche, citando a sproposito ricerche scientifiche se non aderendo a fantasiose teorie del complotto.
Semplicemente, Greta Thunberg, con il suo “How dare you!” pronunciato davanti alle Nazioni Unite, non mi dice nulla. Non cambia la mia conoscenza dei problemi climatici: i dati sui gas serra nell’atmosfera, sulle conseguenze dell’innalzamento della temperatura, sulle misure necessarie per contenere – per evitare è ormai troppo tardi – gli effetti più devastanti già li conosco, almeno a grandi linee. Soprattutto, non cambia la mia convinzione. Perché il riscaldamento globale è un problema grave e urgente, ma già prendo il treno quando possibile, poi la giustizia climatica, i Paesi in via di sviluppo, le multinazionali, i governi, gli sviluppi tecnologici. La faccenda, insomma, è complessa; troppo per accontentarsi di risposte semplici.

‘Un enorme ammasso di paraculaggini’

Sarà una questione di carattere, o forse solo anagrafica – Greta Thunberg ha 17 anni appena compiuti: non è l’età in cui si sta a filosofare sui perché –, ma quel discorso “o bianco o nero”, come lei stessa lo definisce nel suo libro, non mi dice nulla, è inadeguato alla complessità e alla confusione della vita.
Dopo riflessioni non troppo dissimili, lo scrittore e saggista statunitense Jonathan Safran Foer annota nel suo ‘Possiamo salvare il mondo, prima di cena’ (Guanda): “Se avessi letto queste ultime frasi quand’ero alle superiori, le avrei liquidate come un enorme ammasso di paraculaggini – confusione della vita? – e sarei stato profondamente deluso di essere diventato una persona così inconsistente”. Ma, senza rimpianti o pentimenti, Jonathan Safran Foer si dice “felice di essere quello che sono adesso, non perché sia più facile, ma perché dialoga meglio con il mio mondo”.
Un mondo, appunto, complesso, nel quale la singola persona ha poche scelte a disposizione, nel quale i mutamenti sociali, politici, economici e tecnologici richiedono tempo per essere attuati, un mondo nel quale non è semplice neppure stimare l’impatto delle attività umane come l’agricoltura o i trasporti. Ma queste sono scuse per qualcosa di più profondo: il fatto è che sappiamo senza credere.
Siamo come il giudice della Corte suprema statunitense Felix Frankfurter quando nel 1943 un partigiano polacco, Jan Karski, gli raccontò delle atrocità commesse dai nazisti contro gli ebrei. “Non posso proprio credere a quello che mi ha detto”, disse il giudice al partigiano: non perché lo considerasse un bugiardo, ma perché “non sono in grado di credergli. La mia mente, il mio cuore, sono fatti in un modo che non mi permette di accettarlo”. 
È, se vogliamo, un problema cognitivo: quella climatica è una crisi che si scontra contro la nostra capacità di comprendere, perché non rientra tra quei bisogni immediati e limitati cui siamo portati a prestare attenzione: le cause e gli effetti del riscaldamento globale sono sistemici, non puntuali, riguardano un imprecisato io futuro con cui fatichiamo a immedesimarci. “La crisi del pianeta non si è dimostrata una buona storia”, osserva Jonathan Safran Foer, e per credere – e agire – noi esseri umani abbiamo bisogno di buone storie. A questa incapacità di credere è dedicata la prima parte del libro. C’è poi una seconda, anticipata da alcuni articoli pubblicati dall’autore e che gli sono valsi l’accusa di “delirio ambientalista”. Perché si affronta un tema delicato: la dieta a base di prodotti animali. L’allevamento intensivo è responsabile di buona parte delle emissioni di gas serra: da un quarto a oltre la metà, a seconda di cosa si prende in considerazione (e al tema è dedicata un’interessante appendice). Il riscaldamento globale va affrontato non solo sulle fonti energetiche o sulla scelta dei mezzi di trasporto, ma anche nel piatto.
Jonathan Safran Foer era già arrivato a una dieta vegetariana per questioni etiche (in ‘Se niente importa’ del 2009, sempre Guanda). Eppure, ammette lo scrittore, da allora “ho mangiato carne un certo numero di volte”, essenzialmente perché “mi dava conforto”. Il cibo non è solo nutrimento per lo stomaco, ma anche per la mente e l’anima; mangiare, prima di un atto etico o ecologico, è un atto sociale: definisce chi siamo come comunità. Sarebbe idealistico, e stupido, non ammetterlo, non tenerne conto. Da qui il pragmatico consiglio dell’autore: niente prodotti di origine animale prima di cena – che è il pasto socialmente e gastronomicamente più significativo.

Perché leggere questo libro

Se vi riconoscete, almeno un po’, nel ritratto iniziale di una persona che “non odia Greta Thunberg ma…”; se scuotete la testa sconsolati di fronte a un negazionista climatico ma alla fine anche voi “sapete ma non credete”, ‘Possiamo salvare il mondo, prima di cena’ è un libro da leggere perché spiega esattamente che cosa sta succedendo: non solo nel pianeta, ma nella nostra testa. Difficilmente sarà il libro che cambierà la vita – ma quale libro, da solo, è in grado di farlo? –, ma sarà certamente un passo verso l’accettazione del problema, ambientale e psicologico.
E poi Jonathan Safran Foer è un bravissimo scrittore, di quelli in grado di tessere fili narrativi dei più diversi – aneddoti personali, testimonianze dell’Olocausto, ricerche scientifiche, lotte per i diritti civili, antichi testi egiziani, fatti di cronaca, discorsi politici e altro ancora – in una trama perfettamente coerente. Insomma, con la penna di Jonathan Safran Foer anche la crisi del pianeta può diventare una buona storia.

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