Culture

Erik Bernasconi, parole in bianco e nero

‘Castelli di carta’ premia domani i vincitori del suo concorso ospitando il regista e sceneggiatore, oggi al Festival del Cinema di Roma per presentare 'Moka Noir'

'Ben vengano i concorsi' (Ti-Press)
21 ottobre 2019
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«Sono al primo stadio di scrittura di una possibile serie tv e sto scrivendo due film di finzione, che si trovano attualmente a vari stadi. Sto scrivendo». Sta scrivendo, Erik Bernasconi, azione che più di ogni altra s’intona alla cerimonia di premiazione di ‘Castelli di carta’, concorso letterario organizzato dalla Biblioteca cantonale Bellinzona in collaborazione con il Museo Villa dei Cedri, con il sostegno di BancaStato e della Città di Bellinzona. Domani alle 18.30, ospite il regista e sceneggiatore ticinese, si premiano infatti le dodici opere che confluiranno nella raccolta edita dalla Biblioteca; dodici come i rispettivi autori, divisi tra adulti e ragazzi – categoria, quest’ultima, riservata agli alunni della scuola elementare e della scuola media – omaggiati pure di entrate gratuite al Museo e di sostanziosi marenghi e lingottini.

Bernasconi arriverà a Bellinzona, all’Auditorio BancaStato, dritto dritto dal Festival del Cinema di Roma, dove oggi «debutta in società», in anteprima mondiale, ‘Moka Noir’, documentario del quale è regista e co-autore con Matteo Severgnini. «Nel 2010 mi trovavo al Festival di Stresa per ‘Sinestesia’ – spiega Bernasconi – e uno spettatore, Matteo Svergnini, mi ha avvicinato per dirmi che aveva una storia su Omegna, una cosa che aveva vissuto e che mi voleva raccontare». Invito raccolto. Erik si è messo a passeggiare tra le fabbriche dismesse di grandi aziende nate nel secolo scorso, quelle del ‘distretto del casalingo’ (tra cui Bialetti, Lagostina, Alessi), passate dal boom economico alla globalizzazione, alla delocalizzazione e alla crisi. «Erano voci che ho sentito di dover riportare, sviluppando il discorso, incontrando persone, i sindacalisti, gli operai. Mi è sembrato che raccontare la storia di quella cittadina potesse provare a spiegare cosa succede al lavoro in Occidente, naturalmente con gli strumenti di cui dispongo».

‘Moka Noir’ è un documentario in bianco e nero. «Non tutti ne vedono il potenziale» dice Bernasconi di una scelta «abbastanza discussa», ma in linea con la richiesta di quelli di ‘Castelli di carta’, che per la cerimonia di domani gli hanno commissionato un racconto dello stesso tema del concorso: ‘Bianco e nero’.

Il racconto in bottiglia

Al regista, al suo inedito, sono state concesse alcune battute in più delle 1’800 imposte ai partecipanti, la conditio per rientrare in quel concetto di ‘racconto in bottiglia’ che è caratteristico della gara. «Ricordo che quando ero un velleitario scrittore, i concorsi li amavo, vi partecipavo, erano la scusa per ritagliarmi del tempo da dedicare a una passione difficilmente organizzabile quando non era ancora una professione. Si scrive perché si ha un’urgenza, per esprimersi in una forma che non sia diaristica, e che si tratti di racconto o poesia, il concorso aiuta a prendersi del tempo e a stimolarsi». Non a caso, il suo primo film ‘Sinestesia’ (2010) nasce da un concorso del Cantone: «Ricordo che anche lì mi ritagliai otto giorni d’estate per scrivere un soggetto che forse, non ci fosse stato quel concorso, non avrei mai scritto. La buona sorte volle che vinsi ex aequo e il progetto ebbe l’occasione di diventare realtà. Quindi non posso che dire “ben vengano i concorsi”».

‘Leggere fa la sua parte’

Il ‘Racconto in bottiglia’, in nome della sintesi, della quale oggi si vive e con la quale si parla. Perché se un problema esiste, di questi tempi, esposti ad acronimi e abbreviazioni, è semmai quello di riuscire a dire, e a scrivere, qualche parola in più. «Io sono sceneggiatore e regista – spiega Bernasconi – però arrivo al cinema come sceneggiatore. Dico sempre che se mi è stata data l’opportunità di fare il mio primo film quando ancora dovevo dimostrare le mie qualità, la cosa si deve al fatto che ho convinto con una sceneggiatura e quindi con la scrittura. Arrivo da una formazione letteraria e da un sogno giovanile che era quello di fare lo scrittore. Devo però anche dire che scrivendo per il cinema spesso si va dritti a ciò che si può far vedere; scrivere è uno strumento centrale per anticipare a chi ha un ruolo in quello che sarà il film, compresi i finanziatori, tutto quel che si promette di poter far vedere e sentire».

E dunque ‘evviva’ (anche) la sintesi, quella che produce «le sceneggiature di geni come Quentin Tarantino, che pare siano sempre stringatissime, solo poche parole e i dialoghi, ammesso che le versioni che circolano in rete siano in forma originale e non ripulita. Poi ci sono anche sceneggiature forbitissime, scritte molto bene e anche piene di particolari».

Certo è che «leggere fa la sua parte. Ho studiato letteratura italiana a Friborgo, imparando ad analizzare minuziosamente le opere dei grandi, cosa che accresce la capacità di analisi e invita a prendere spunto. Ciò non garantisce che si sappia scrivere bene, ma leggere e analizzare è decisivo per saper scrivere».

Profetico? ‘No, riconoscente’

Il tema portante del concorso di ‘Castelli di carta’, il ‘Bianco e nero’, porta, direttamente e indirettamente, a ‘Fuori mira’, film di cinque anni fa, prodigo di spunti di riflessione su temi come immigrazione e integrazione. “Volevamo offrire al pubblico la possibilità di riflettere sulla nostra epoca, nella quale tutto l’Occidente e non solo il Ticino sembra ripiegare su se stesso, guardando con sospetto il cosiddetto diverso”. Questo diceva al tempo il regista (cfr. ‘laRegione’ del 27 ottobre 2014). Cinque anni dopo: «A livello sia locale che internazionale mi sembra che quel clima di sospetto non sia particolarmente migliorato. Non so dire cosa succederà. Quello che vedo è una nuova generazione che si preoccupa dell’ambiente in modo globale, ed è una grande novità, questa, che al mondo in cui viviamo forse porterà una voglia di stare assieme in modo meno sospettoso».

Più che ‘profetico’ – le parole sono di un paio di giorni fa – nella notte di una domenica elettorale appena conclusa, il regista preferisce metterla sulla gratitudine: «Non ho previsto nulla, i sondaggi ne parlavano, il trend è europeo. È una conferma di come intere generazioni di giovani che non erano mai scese in piazza a lamentarsi di nulla, oggi scendono in piazza e si lamentano. Scendono anche per noi, che lo abbiamo fatto assai meno. Stanno recuperando il ruolo civile, e tutto questo mi provoca una certa gioia».

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