Culture

Nativi, integrati e apocalittici

Primo MöbiusLab Giovani: discutendo di memoria e digitale con Massimo Bray

19 ottobre 2019
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I nativi digitali sugli spalti – insieme a qualche giornalista che difficilmente poteva essere scambiato per uno studente di quarta liceo – e, alla cattedra, due immigrati digitali: Massimo Bray, direttore dell’Istituto Treccani, e Alessio Petralli, direttore della Fondazione Möbius. Una scenografia perfetta, per un inascoltato sermone sulle insidie delle nuove tecnologie – e invece questo MöbiusLab Giovani, novità dell’edizione 2019 del tradizionale Premio Möbius, ha da subito smentito i timori iniziali di uno scontato incontro cattedratico.

Chiamati a riflettere sul tema della memoria e del digitale, gli studenti del Liceo Lugano 1 si sono dimostrati osservatori attenti e critici di quelle tecnologie di cui li si vorrebbe inconsapevoli utenti. Anzi, i brevi filmati che hanno preparato per l’incontro con Massimo Bray – proiettati prima della discussione e visibili sul sito www.moebiuslugano.ch – erano più apocalittici che integrati, per usare la familiare contrapposizione introdotta oltre cinquant’anni fa da Umberto Eco. Consapevoli non solo della quantità di memoria che deleghiamo ai dispositivi digitali, cui affidiamo numeri di telefono, impegni, fotografie eccetera, ma anche del fatto che la memoria ha una dimensione emotiva e affettiva che lo schermo di uno smartphone può solo risvegliare ma non riprodurre.

Massimo Bray è stato bravo a cogliere e sviluppare le suggestioni portate da ragazze e ragazzi, anche se in qualche occasione il suo ruolo di mediatore si è rivelato un po’ ingombrante – ma del resto la sua tesi forte è che uno dei problemi del digitale sia, appunto, la disintermediazione, l’assenza di figure che valutino e certifichino (e qui ha fatto il solito esempio dell’incerta Wikipedia dove tutti possono scrivere, e sarebbe bello a un prossimo Möbius vederlo dialogare con un rappresentante della popolare enciclopedia libera).

Ma basta la mediazione per orientarsi nel mare di informazioni cui abbiamo accesso? No, ha risposto uno dei ragazzi, perché se in certi settori la tecnologia ha solo digitalizzato cose che già facevamo, in altri – pensiamo ai social media – abbiamo un completo stravolgimento. E subentrano criteri di quantità anziché di qualità, algoritmi che non gestiamo noi ma creano aziende che agiscono per scopi che potrebbero non essere i nostri.

Serve un nuovo pensiero critico, un nuovo umanesimo ha suggerito Bray. Ma la situazione è diversa, osserva una ragazza: nel Rinascimento il problema era trovare un testo, adesso la sfida è renderlo rilevante nel mare di informazioni.

Temi che si sono poi ritrovati anche nel simposio conclusivo di questa prima giornata di Premio Möbius – oggi si prosegue con il Media Tech Day di Usi e Rsi e con il Grand Prix Möbius Suisse – , dove a discutere di memoria e digitale erano esperti. Al di là delle abbondanti citazioni del pomeriggio – che, non ce ne vogliamo gli interessanti relatori, ogni tanto hanno fatto rimpiangere la spontaneità di ragazze e ragazzi –, è interessante confrontare i diversi riferimenti sui limiti della tecnologia. Sostanzialmente orientati al passato quelli degli immigrati digitali, dalle circolari cartacee dell’amministrazione federale che spingevano alla sintesi ricordate da Mauro dell’Ambrogio alla storiografia critica dell’informatica proposta da Gabriele Balbi. Per i nativi digitali, occasione di riflessione è, più prosaicamente, uno smartphone scarico o sequestrato.

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