Culture

Il ritorno di Delia Fischer (intervista a Monica Piffaretti)

‘Nere foglie d’autunno’ è la seconda indagine della sua detective. La presentazione domani alle 20 alla Cà Rossa di Grono; a Mendrisio il 28 settembre

La detective è tornata (per SalvioniNarrativa)
17 settembre 2019
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L’aveva promesso, due anni fa, che Delia Fischer sarebbe tornata. E così è stato: Monica Piffaretti ha scritto ‘Nere foglie d’autunno’, seguito di ‘Rossa è la neve’ (entrambi pubblicati da Salvioni), nuovo romanzo con protagonista l’ex commissaria ticinese. Il libro sarà presentato domani alle 20 alla Cà Rossa di Grono e poi il 28 settembre alla Cantina Agustoni-Stoppa a Mendrisio.

Monica Piffaretti, Delia Fischer è tornata: com’è affrontare un romanzo sapendo che c’è un capitolo precedente – e magari anche uno successivo?

Speriamo: mi impegnerò affinché Delia Fischer torni in ufficio e ci dia dentro con il suo lavoro di detective. Per me è una bella soddisfazione: Delia è tornata perché il primo libro è andato molto bene. Dai riscontri che ho avuto il personaggio è piaciuto, e a me è piaciuto metterla al mondo, per cui ho deciso di riprovarci con lo stesso personaggio, la stessa squadra. Chiaramente l’intrigo è diverso, ‘Nere foglie d’autunno’ ha un’altra fattispecie alle spalle, parte da altri fatti storici.

Infatti si inizia con i Fatti di Chiasso nell’aprile del 1945.

Esatto. Nel primo romanzo era il caso dei bambini collocati: prendo qualcosa che mi colpisce nella storia del nostro Paese e da lì cerco di sviluppare qualcos’altro. Perché credo che il romanzo giallo non debba essere fine a sé stesso ma debba avere un tessuto legato al territorio. È un giallo territoriale, un giallo elvetico perché la società che compare nelle mie pagine è la nostra società, con degli affondi nel passato, nel nostro passato.

Un passato che ritorna.

Il libro è un dialogo tra passato e presente: il titolo stesso, ‘Nere foglie d’autunno’, indica le stagioni che si avvicendano: le foglie del passato, nere, legate alla Seconda guerra mondiale, che non sono scomparse ma sedimentano nel presente. E Delia, nei panni della giardiniera del tempo, le raccoglie prima che l’oblio le cancelli del tutto, spiegando che cosa accadde. C’è questa arma, questa P38, che compare nelle prime pagine e ci accompagna per tutto il romanzo.

Il titolo rimanda anche ad altro?

Come nel primo romanzo, il titolo ne contiene in nuce il significato profondo: ‘Rossa è la neve’ conteneva tutto, del romanzo, un concentrato del primo libro. E lo stesso con ‘Nere foglie d’autunno’, con questa dimensione cromatica che mi è cara – là era il rosso, qui il nero – e anche un po’ stagionale, con la neve invernale e le foglie d’autunno… Mi piace che il titolo lo si capisce solo dopo aver letto il libro. Anche se in apertura c’è questa poesia di Verlaine, ‘Chanson d’automne’, che già dice molto – e i primi versi sono quelli che hanno dato il via allo Sbarco di Normandia.

Si ritorna alla Seconda guerra mondiale.

È un ulteriore rimando. Ed è un messaggio di resistenza: nel romanzo si arriva al nostro oggi, e si arriva a certi rigurgiti di ideologie perverse che già ci sono costate milioni di morti. Ma questo arriva nel finale.

Tornando al passato: nel romanzo troviamo diverse note a piè di pagina, per contestualizzare alcuni eventi.

Per contestualizzare per bene: ci tuffiamo in questo passato, ma come è questo passato? Non è soltanto il piccolo puntino ticinese, apriamo un po’ il grandangolo. Perché il romanzo parte da questo puntino nella storia, ma questo puntino fa parte di un grande quadro.

Si sottolinea la realtà di questi eventi.

Sì, c’è un dialogo tra i fatti storici e il romanzo. Un intreccio che mi interessa molto, perché il tema di fondo è la trasmissione della memoria. La mia memoria personale, che ho ricevuto in dono, un dono familiare. Ma anche una memoria collettiva e il nocciolo della trama è proprio una trasmissione della memoria “fatta male”. Che cosa può causare una trasmissione malfatta della memoria?

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